mercoledì 6 giugno 2012

Quando la notte


Quanto mi è piaciuto questo film! Mi è rimasto appiccicato addosso. Con buona pace dei critici che durante il festival di Venezia l’hanno fischiato e deriso. Chissà perché poi? Io non ci ho trovato niente di ridicolo. Ma tant’è:  magari un film non soddisfa i criteri della critica cinematografica però colpisce al cuore. E infatti eccomi qui a raccontare quello che ha colpito me. Ho dovuto guardarlo due volte perché la prima l’avevo preso troppo di petto e volevo trovare qualcos’altro da raccontare che non fossero solo sensazioni.

Marina ha un figlio di due anni e lo porta in montagna per trascorrere un mese di vacanza/cura. Prende in affitto la casa più isolata del paese, dove al piano di sotto vive Manfred, una guida alpina dal carattere schivo e scontroso, abbandonato dalla moglie che se n’è andata con i due figli. Marina si ritrova ben presto a fare i conti con la solitudine e con la gestione di un bambino piccolo che piange ogni notte. Finché un giorno succede un incidente. Manfred accorre in aiuto della donna e del bambino, e da quel momento inizia un tormentato rapporto tra i due che si attraggono e si respingono e indagano i reciproci segreti.


Sono due gli aspetti del film che mi sono rimasti in mente. Il primo riguarda il ruolo della madre.
Marina cerca di fare del suo meglio con il bambino, cerca di essere paziente amorevole e positiva anche quando lui si sveglia ogni notte e non le dà tregua con il suo pianto che le trapana il  cervello, anche se lui le succhia tutte le energie. Non c’è dubbio che lo ami, ma è pericolosamente vicina ad un crollo nervoso. Fin dalle prime scene del film ci aspettiamo che accada qualcosa di terribile. Sinceramente ho temuto il peggio, e ammetto di essere andata a leggere la trama in anticipo perché non so se avrei retto qualcosa di tragico. Non preoccupatevi, l’irreparabile non succede. Ma Marina ci va molto vicino. Solo confrontandosi in seguito con la cognata di Manfred, il ritratto della madre saggia ed equilibrata, scopre che molte donne provano questi sentimenti  ambivalenti di amore/odio nei confronti dei loro bambini piccoli, e scoprendo questo si rincuora e si sente meno sola.
Mi capita spesso di parlare delle difficoltà a cui vanno incontro le mamme con bimbi piccoli, e ci si chiede sempre Ma le nostre madri come facevano?
Indubbiamente i tempi erano diversi. Oggi le donne devono arrivare puntuali al lavoro (ovviamente la maggior parte deve lavorare) ed essere efficienti, devono preparare la cena, pulire il bagno, fare il bucato, tenere la casa in ordine, tenere se stesse in ordine e in più occuparsi dei loro figli piccoli che richiedono un’attenzione costante e totalizzante. Ma soprattutto non devono mai cedere e sono oggetto di analisi e critiche da parte di chi è sempre pronto a giudicarle per come educano i bambini, se li lasciano piangere finché non smettono da soli o se li prendono in braccio, se li viziano, se li fanno dormire con loro nel lettone, cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Forse le nostre mamme hanno vissuto i nostri primi anni in modo meno esasperato, forse non veniva richiesto loro di essere sempre perfette, forse godevano di una rete di amiche e parenti più ampia e disponibile a cui appoggiarsi, forse c’erano meno stress e meno aspettative attorno a loro.
Ma io non ho l’esperienza personale per dire altro su questo argomento, quindi lascio lo spazio a chi ne sa più di me.

Il secondo aspetto riguarda il rapporto che si crea tra Marina e Manfred, che si passano vicino e condividono un breve attimo e poi le loro vite proseguono per strade e direzioni diverse. L’attimo  più intenso e significativo della loro esistenza. L’ultima immagine del film,  due funivie che si incrociano a metà strada, rallentano per un istante, e poi proseguono in direzioni opposte è forse un’immagine un po’ stucchevole che però rende perfettamente l’idea.
Entrambi sanno di avere lo stesso inconfessabile  segreto  e questa consapevolezza  crea tra loro una tensione alla quale a stento resistono. A volte si avvicinano, quasi si toccano, ma poi si respingono per la paura di rivelare a se stessi e all’altro ciò che nascondono nel profondo, però l’attrazione tra loro è troppo forte per tenerli lontani l’uno dall’altra.
 Il personaggio di Marina comunque evolve positivamente. All’inizio non chiama neanche il figlio per nome, lo chiama sempre “il bambino”, alla fine del film è diventato Marco. Marina diventa sempre più forte grazie all’incontro con la cognata di Manfred che le fa capire che non è sola o diversa.
Manfred invece resta lo stesso fino alla fine. Porta dentro di sé ben cristallizzate le ferite di un bambino che è stato abbandonato dalla madre, è chiuso e lotta contro tutti e contro il mondo, ostinato e cupo. In seguito ad un incidente in montagna resterà parzialmente invalido e dovrà rinunciare alla sua vita solitaria, accetterà il ritorno della moglie e si sforzerà di vivere una vita più normale.
Manfred e Marina si sono toccati nel profondo. Lei non tradisce fisicamente suo marito, torna da lui e continuala sua vita. Ma dopo tanti anni andrà a riprendersi  il pezzo che mancava. Tu sei la mia donna, le dirà Manfred, dopo l’unica notte che trascorreranno assieme. Si appartengono perché condividono la parte più oscura delle loro anime, che nessun altro conosce perché nessun altro potrebbe capire ed accettare.

Fa da scenario un meraviglioso paesaggio di montagna, sia estivo che invernale, riflesso della  durezza e dell’asperità della vita. Montagne che diventano a pieno titolo un personaggio della storia.

E’ bella Claudia Pandolfi, di una bellezza semplice e pulita, è brava a trasmettere il suo tormento e la sua angoscia (anche se qualcuno ha criticato le sue occhiaie eccessivamente marcate).
E’ bravo Filippo Timi, in un ruolo, quello dell’uomo rude e schivo, in cui forse l’abbiamo già visto altre volte, ma che gli si cuce sempre bene addosso.

Concludo dicendo che lo so, questo film non avrebbe meritato comunque di vincere grandi premi.
A me però è piaciuto moltissimo.
Ora vedremo il libro…..

Quando la Notte, di C.Comencini, Italia 2011
Con Claudia Pandolfi, Filippo Timi, Thomas Trabacchi e Michela Cescon
Durata 108’
  


3 commenti:

Giuliana Neri ha detto...

adesso ho capito il tuo suggeriemnto del "copia incolla"........è sparito il mio commento ??

Giuliana Neri ha detto...

boh .....che dire ?? riprovo
L'HO VISTO IL FILM !!! Avevo completamente dimenticato il titolo e poi credevo mi parlassi di un film non così recente.
Ebbene, vista alla televisione un'intervista al Timi (che fascinoso) durante la Mostra del Cinema di Venezia, mi è subito sembrata una trama molto interessante : sono mamma e ora anche nonna e so bene quante volte i bambini, probabilemte inconsciamente, ti fanno saltare i nervi. Vuoi la stanchezza o anche solo altre frustrazioni o rabbie represse che scatta quel meccanismo che ti annebbia la mente..........l'importante è fermarsi/ravvedersi in tempo.
Il film mi ha emozionato e mi è piaciuto molto - non capisco cosa avevano gli spettatori della sala proriezioni di Venezia da sorridere - Stupendo lo scenario con la montagne (credo Alpi Carniche) e bravissimi i due attori.
Solo un piccolo appunto da parte mia : avrei preferito che, anche se a distanza di tanto tempo, i loro sentimento non finisse a letto.......tutto qua per il resto sicuramente giudizio positivo

Unknown ha detto...

mi interessa questo film...è uno di quelli che avevo puntato ma che come al solito è durato troppo poco nelle nostre sale...argomento difficile..inavvicinabile: una madre NON PUO' avere certi pensieri inconfessabili nei confronti del proprio figlio... eppure.... succede..
Personalmente non mi scandalizza.Non ho figli ma posso ben capire che certe volte i bambini uniti alla difficoltà di gestione della famiglia possano esasperare una madre. Credo però che parlarne sia molto utile e farne un film una buona idea, forse più di una madre nel vederlo si sarà riconosciuta e forse si sarò sentita meno sola e meno colpevole (anche solo di farli certi pensieri).