giovedì 26 luglio 2012

Un piccolo contributo dalla mia mascotte in attesa del prossimo post...

sabato 21 luglio 2012

Chiara Gamberale, Le luci nelle case degli altri


Ecco un libro fresco come consiglio per l’estate. Una lettura che mi ha accompagnata per qualche giorno, senza richiedere grande impegno ma sufficientemente fluida e accattivante, spiritosa, a tratti ovvia ma mai  banale.

Mandorla è una bambina di sei anni che si ritrova improvvisamente orfana di madre. Non ha altri parenti e non ha mai conosciuto il padre, ma c’è una lettera in cui la mamma rivela di averla concepita durante un’unica notte d’amore con  uno degli inquilini del suo palazzo.  Per evitare le conseguenze del test del DNA gli abitanti di Via Grotta Perfetta 315 decidono di adottarla tutti assieme ospitandola  a turno per qualche mese a casa loro. Mandorla vive tutti i turbamenti tipici dell’adolescenza e sembra soffrire più per non essere all’altezza della bella della classe che per il fatto di vivere una situazione familiare così anomala. Attraverso i suoi occhi si accendono una ad una le luci nelle case delle famiglie che la ospitano. C’è la zitella che di notte parla con personaggi  immaginari, la coppia gay, la conduttrice radiofonica (piccolo cameo dell’autrice?) con il suo compagno intellettuale, la famiglia apparentemente perfetta, la famiglia evidentemente imperfetta…  a formare un piccolo campionario di quelle che poi sono in fondo le realtà che ci circondano quotidianamente.
A intervallare il punto di vista di Mandorla tra un capitolo e l’altro entriamo brevemente nei pensieri e nei ricordi degli altri personaggi e attraverso questo strumento completiamo il puzzle e chiudiamo il cerchio sullo svolgersi degli avvenimenti.

Questo romanzo mi ha ricordato un po’ L’eleganza del riccio, con cui ha in comune la vita di un palazzo vista attraverso gli occhi di uno degli inquilini. All’inizio ho fatto un po’ di fatica perché l’autrice sembrava seminare  immagini senza farci capire dove voleva condurci; ma non preoccupatevi, dopo qualche pagina il percorso si delinea e ad un certo punto succede anche qualcosa di imprevisto e misterioso che ci accompagna fino all’ultima pagina con la crescente curiosità di scoprire cosa sia successo, e soprattutto, scopriremo o no chi è il padre di Mandorla?

Certo, il presupposto su cui si basa il romanzo è altamente improbabile, ma che importa, stiamo leggendo una storia inventata. E  devo ammettere che giunta alla fine del libro ridevo e piangevo contemporaneamente, chissà perché?

lunedì 16 luglio 2012

Requiem for a dream


La signora col vestito rosso merita un posto d’onore in questo blog per il segno che ha lasciato. Io che mi vanto di non farmi impressionare dai film in questo caso ho accusato il colpo. Complice il fatto che nel periodo in cui l’ho visto avevo i nervi un po’ stanchi sono rimasta allucinata abbastanza a lungo. E non è stata solo una mia impressione perché la gran parte delle persone a cui l’ho suggerito hanno avuto la mia stessa reazione.

Il film è Requiem for a Dream , secondo lungometraggio di Darren Aronofsky.
E’ la storia di Sara, di suo figlio Harry e della fidanzata Maryon, alla ricerca di una via di fuga dalla squallida realtà quotidiana. Il film è diviso simbolicamente in tre stagioni:  l’estate (che rappresenta il successo iniziale), l’autunno (lo stallo), l’inverno (la caduta).

Sara (Ellen Burstyn, eccezionale, ed eccezionale il lavoro dei truccatori)  è una casalinga vedova  che vive a Brooklyn.  Passa tutto il giorno davanti al televisore, sua unica compagnia. Un giorno riceve una telefonata dagli studi televisivi e le viene proposto di  partecipare come ospite al suo quiz preferito. Per Sara questo rappresenta la possibilità di cambiare vita, di riscattarsi di fronte alle amiche, di farsi volere bene. Decide che per partecipare alla trasmissione indosserà il vestito rosso delle occasioni importanti. Che però le è diventato troppo stretto. Per perdere qualche chilo  si affida ad un dottore senza scrupoli il quale le prescrive a sua insaputa una cura a base di anfetamine.  Giorno dopo giorno Sara perde progressivamente il contatto con la realtà fino ad impazzire. 

 Harry e Marion sono tossicodipendenti. Un giorno assieme all’amico Tyrone decidono di fare il salto di qualità nel mondo dello spaccio per guadagnare molti soldi e non dover più lottare quotidianamente per racimolare la dose. Dopo i primi iniziali successi la situazione precipita: non si trova più eroina sul mercato, i rapporti fra i tre cominciano ad incrinarsi, Marion finisce in un giro di prostituzione d’alto bordo,  Tyrone in prigione e ad Harry viene amputato un braccio a causa di un’infezione trascurata.

Avete presente Trainspotting? Di più. Più crudo, più diretto, senza compromessi.
Le scene sono brevi, rapide, spesso montate a velocità aumentata. La colonna sonora originale (bellissima) amplifica il senso di angoscia. Immagini frenetiche, occhi sbarrati, capelli dritti, visi tirati, digrignare i denti, ferite pustolente, elettroshock, amputazioni, sodomia, degrado, allucinazioni visive, allucinazioni uditive, il frigo che vuole inghiottire Sara, i personaggi televisivi che escono dallo schermo come in un incubo, la perdita del contatto con la realtà.

Le critiche hanno parlato di un film sulla droga, ma secondo me questo è un film sulla solitudine. Certo, di droga ce n’è tanta, a fiumi. Ma mentre Harry, Marion e Tyron sono consapevoli di quello che fanno e tutt’al più, mi verrebbe da dire, avrebbero potuto evitarlo, avrebbero potuto prendere una strada diversa  (i tre ragazzi tra l’altro sono bellissimi, non dei delinquenti brutti e cattivi), Sara invece è vittima della sua solitudine. Nessuno le sta vicino, nessuno la ferma, nessuno le dà un buon consiglio, nessuno la osserva veramente e quando Harry si accorge che qualcosa non va ormai è troppo tardi. La vita di Sara è triste e patetica e finirà nel peggiore dei modi. Sarebbe bastata un po’ di attenzione attorno a lei per non farla precipitare nella spirale della pazzia, per non farla diventare “la signora dal vestito rosso”.


Un consiglio: guardatelo un giorno in cui vi sentite tranquilli!

Requiem for a Dream di Darren Aronofsky, USA, 2000
Con  Ellen Burstyn, Jared Leto, Jennifer Connelly
Durata 102’


lunedì 9 luglio 2012

Prendere o lasciare?


Domanda: cosa fare quando il libro che stiamo leggendo proprio non ci piace? Sforzarsi e continuare o abbandonare e passare ad un altro titolo? Leggere un libro che non ci entusiasma è mai una perdita di tempo?

Oggi affronto questo dilemma. Ho iniziato un libro ed ho subito capito che non mi piace. Me l’ha prestato un’amica e l’ho accettato ben volentieri, mi aveva già incuriosito a suo tempo in libreria, , conosco l’autore, insomma ero ben disposta e piena di curiosità. Ma già dalle prime pagine mi sono resa conto. Oh no è un romanzo in stile fantasy… uffa. A me piacciono le storie più concrete. E poi dai, psicologia spicciola messa lì bene solo per fare colpo su un pubblico più ampio possibile. Facile giochetto… La battutina lì, il gioco di parole là….  Leggevo e mi distraevo pensando Che faccio? Continuo o abbandono? Beh dai, magari poi… no il colpo di scena questa volta non ci sarà lo so, però magari si ripiglia e alla fine avrà un senso. E poi chi sono io per dare questi giudizi così categorici, si può sempre imparare qualcosa! In fondo se leggo solo quello che mi piace come faccio a capire quello che non mi piace? E’ quello che ho fatto anche con i film, una volta guardavo solo quello che mi piaceva, ora guardo anche quello che non conosco e devo dire che ho fatto anche delle belle scoperte inaspettate (Vacanze di Natale però no!) Uffa…. Ma no ma chi me lo fa fare. Dai, non è una missione, se non mi va non mi va, pazienza, non avessi altro da leggere ma la pila sul comodino aumenta sempre di più…

Vi capita mai? E cosa fate in questi casi? Siete del gruppo stoici fino alla fine oppure abbandonate senza sensi di colpa?

Perché una cosa è “Non-è-il-momento-giusto-per-questo-libro”. Capita. Ci sono le letture più invernali, quelle impegnative da domenica di gennaio sul divano quando fuori soffia il vento e si può leggere per tre ore di seguito, che goduria! E poi ci sono le letture più snelle. Ad esempio “Il buio oltre la siepe” in prima battuta non mi andava. Ripreso in un altro momento, che meraviglia! Oppure “Le Benevole”, è lì sul comodino, letta la prima parte due inverni fa, speriamo col prossimo freddo di riuscire ad affrontare almeno la seconda. Per la terza si vedrà. Anche “Il ponte sulla Drina” è lì credo da quattro, cinque anni. Ma non importa, i libri non vanno a male, al limite ingialliscono le pagine (con l’e-book neanche più quello!)

E poi ci sono quei casi in cui il libro è gradevole ma in qualche modo ci sto mettendo un sacco di tempo a leggerlo. Vuoi perché è molto corposo e grosso.  Vuoi perché in qualche modo faccio fatica a concentrarmi. Magari mi piace ma mi sta bloccando le altre letture.  Di solito in questi casi ad un certo punto decido di dare una svolta. Immersione testarda e non faccio altro finché non l’ho finito, non leggo neanche il giornale, niente, fino all’ultima pagina.

Comunque per la cronaca, il libro incriminato ho deciso di finirlo. Diciamo che ho preso la decisione lanciando la monetina. In fondo mi sembra una lettura abbastanza rapida non ci vorrà molto. Nella peggiore delle ipotesi mi avrà ispirato questo post.

domenica 8 luglio 2012

Pina Bausch


Oggi per restare fedele al titolo di questo blog faccio una segnalazione radiofonica e vi suggerisco l’ascolto di una trasmissione bellissima che è andata in onda per tutto l’inverno su Radio 3, Wikiradio. Ogni giorno mezz’ora dedicata ad un evento o a un personaggio di cui ricorre qualche anniversario. Al momento la trasmissione è stata sospesa per le vacanze estive ma speriamo che in autunno ricominci. In ogni caso le puntate sono disponibili sul podcast.

Una delle più recenti era condotta  dall’antropologa e fotografa Patrizia Giancotti che ha parlato di Pina Bausch. Ha proposto un breve excursus sulla vita dell’artista partendo dall’anniversario della consegna del Leone d’Oro alla Carriera avvenuto a Venezia nel 2007 in occasione della Biennale Danza. Quest’inverno avevo visto l’emozionante film di Wim Wenders dedicato a Pina, quindi ho ascoltato la puntata con molta curiosità.
Pina Bausch era nata a Solingen nel 1940, aveva iniziato gli studi di danza in Germania, si era poi trasferita negli Stati Uniti dove aveva lavorato anche per il Metropolitan Opera ed era infine rientrata a Wuppertal dove aveva fondato la sua scuola di danza. E’ morta il 30 giugno 2009 dopo soli 5 giorni dalla diagnosi della malattia che l’aveva colpita. Era talmente votata al suo lavoro di ricerca, ci riferisce Patrizia Giancotti, che non aveva avuto il tempo di curarsi.

Il lavoro compiuto da Pina Bausch è di straordinario interesse.  E’ considerata il massimo esponente del Tanztheater, un progetto artistico che introduce nella danza elementi  drammaturgici tipici delle opere teatrali.  Durante i suoi viaggi in Brasile viene in contatto con popolazioni indigene che considerano la danza come un bisogno primario. Lei stessa riesce ad esprimere al meglio il suo pensiero attraverso il linguaggio del corpo piuttosto che con le parole. I suoi danzatori rappresentano un campionario dell’umanità, e attraverso il linguaggio del corpo viene fatto un profondo lavoro di introspezione che apre squarci sull’animo umano. Le sue opere sono caratterizzate da ripetizioni ossessive di movimenti e dall’ introduzione di elementi e luoghi della natura.

Durante un viaggio a Venezia il regista tedesco Wim Wenders assistette casualmente ad uno spettacolo di Pina Bausch e ne restò profondamente emozionato.  Decise di contattarla e le propose di girare un film documentario sulle sue opere. Iniziarono così le riprese che durarono circa due anni. Quando Pina Bausch morì  improvvisamente Wim Wenders avrebbe voluto abbandonare il progetto, ma i danzatori della compagnia di Wuppertal  lo supplicarono di tornare sui suoi passi. E così nel 2011 uscì Pina, che come Buena Vista Social Club, è uno di quei film che si possono mettere su ogni tanto e lasciar andare, buttando l’occhio alle immagini e godendosi la bellissima colonna sonora. Nel corso della trasmissione radiofonica Patrizia Giancotti  cita alcuni episodi  del film che si sviluppa  sulle tracce dell’opera di Pina Bausch, da Caffè Mueller a Le sacre du printemps intervistando i componenti del suo corpo di ballo.


Personaggio emozionante Pina Bausch. Consiglio la visione di questo film e anche l’ascolto della trasmissione in cui si intuisce l’ammirazione della conduttrice per questa grande e originale artista. Si può scaricare in podcast dal sito di Radio Tre su questo sito Wikiradio podcast



lunedì 2 luglio 2012

Edmondo Berselli, Liù. Biografia morale di un cane


Poche righe per questo spassosissimo libro scritto da Edmondo Berselli, editorialista e brillante firma di vari quotidiani nazionali, scomparso prematuramente qualche anno fa.

Filo conduttore della narrazione l’ingresso in famiglia di Liù, cucciola di labrador nera che irrompe prepotentemente nella vita dell’autore, all’inizio cinicamente contrario all’idea e poi completamente,  irrimediabilmente conquistato dall’irrefrenabile cane.
“Perché è sempre meglio scegliere l’esemplare più timido […] il cucciolo che non esprime folli idee di leadership, un cagnolino un po’ gregario, poco vivace e per niente aggressivo, altro che il cucciolotto Alfa: meglio il Beta, il Gamma, il Pi greco e perfino l’Omega […]. Che invece la piccola Liù, già a due mesi, fosse un supercane, con quella personalità spiccata e con quel tanto di vivace prepotenza che ne caratterizza tutte le vicende domestiche, di cortile, di parco, di giardino, di bosco e di montagna, lo si comincia a intravvedere non appena la si piazza in auto … “

Liù è anche la scusa che Berselli coglie per divertirsi con un esercizio di digressioni, riferimenti filosofici, citazioni colte ed aneddoti sul mondo dell’editoria e della politica. Esercizio spesso compiaciuto ed al limite virtuosismo , ma glielo perdoniamo perché il risultato è godibilissimo e spiritoso, per una volta non il solito romanzo sentimentale sul migliore amico dell’uomo.