Alla fine eccomi a qui a
raccontare di questo libro dal quale tento di fuggire ma che non mi lascia andare. Più cerco
di allontanarlo, più mi richiama.
Un giorno tornando a casa dal
lavoro stavo ascoltando una trasmissione radiofonica in cui si parlava di
libri. “Oggi parliamo con Rosa Matteucci del suo nuovo romanzo Costellazione Familiare”. Ho fatto un
balzo e ho alzato il volume. Sì perché per me il tema delle costellazioni
familiari è stato decisivo negli ultimi anni: le ho praticate, studiate, mi
sono lasciata indagare; infine ultimamente ho deciso di accantonarle per un po’
e dedicarmi ad altro. L’autrice spiegava che la genesi del romanzo era appunto
un lavoro di gruppo basato sul metodo delle costellazioni, al quale lei stessa
si era trovata a partecipare in modo del tutto casuale. L’intervista poi
proseguiva parlando del suo amore per i cani che sembrava essere il vero tema
della narrazione. Alla fine della trasmissione ho accantonato il pensiero,
volontariamente.
Il giorno seguente nella
sezione cultura del quotidiano locale, mi imbatto di nuovo nello stesso libro:
c’è un articolo di presentazione, seguito dall’annuncio che quel pomeriggio
l’autrice avrebbe incontrato il pubblico nella tal libreria alla tal ora. Guarda caso, proprio a quell’ora sarei stata
nei paraggi per una commissione. E va bene, se ci riesco andrò a sentire, ma solo dieci minuti...
Ovviamente ci riesco. Inizia l’incontro.
Già non mi è simpatica questa Rosa Matteucci. Ha l’aria un po’ annoiata,
insofferente. Sembra quasi che le dia fastidio stare qui a raccontarci la sua
storia, tra un po’ me ne vado. E invece rimango. Per tutto il tempo sono pronta a
svignarmela alla prima occasione, e
invece resto incollata alla sedia quasi fino alla fine. Perché le cose di cui
parla in fondo le conosco. Soprattutto le cose che lascia solo intravvedere, una
parte più emotiva, delicata, che forse
fa ancora fatica ad essere affrontata pubblicamente, però io credo di aver
riconosciuto il tema profondo, intimo. E non solo io, molta gente annuisce
partecipe, forse riconoscendosi.
Andandomene incontro un amico,
anche lui venuto ad ascoltare la presentazione. “Ma tu lo compri il libro? – Io
no, no, ne ho già una pila da leggere sul comodino, poi mi viene l’ansia, forse
più in là. – Si si anch’io forse più in là”. E invece una volta alla cassa, furtivamente,
neanche stessi rubando, ne acquisto una copia e la infilo in borsa, stando bene
attenta a non farmi vedere.
Il libro resta lì a guardarmi
sul comodino per qualche giorno. Mi aspetta. E va bene, leggiamolo. Uffa però
che modo esagerato di scrivere. Ma che
bisogno c’è di metterci tutte queste parole desuete, non potrebbe usare uno
stile più leggero, più scorrevole? E poi che sfoggio di cultura gratuito,
quanto mi urta questo snobismo.
Però mi fa troppo ridere. Per la prima volta un
argomento che avevo sempre vissuto con una serietà quasi reverenziale viene affrontato
con ironia. Io non avrei mai osato. Mi sento più leggera.
E’ una maschera, credo, questa
della dissacrazione; crea la distanza necessaria per affrontare il rapporto con
una mamma algida e inaccessibile, dispotica in particolare con questa figlia,
che a sua volta si lascia tiranneggiare, nell’ attesa vana e già disillusa di
un gesto di affetto che non arriverà. E
proprio nelle parti in cui la tenerezza riesce a filtrare per qualche istante, il
racconto arriva dritto al cuore, nei passaggi in cui dietro alla maschera dell’ironia
distaccata si riesce a percepire l’amore per questa madre, il dolore e la paura
all’idea di perderla, di perdere anche il tiranno che è stato in qualche modo il
leit motiv di una vita, la ragione di una vita.
E insomma ho riso, ho pianto,
e soprattutto sono incredula per come io non riesca a liberarmi da questo libro.
Ho scoperto che il quotidiano locale le concede uno spazio settimanale nella sezione
cultura, che ovviamente leggo, sempre con scetticismo, e sempre mi piace.
Poi ieri in centro ho
incontrato un’amica che non vedevo da tempo, e che mi ha detto “Sai, ti ho
pensata! Perché mi hanno regalato un libro che si chiama Costellazione Familiare, e mi ricordo che tu me ne avevi parlato …”
E va bene mi arrendo, mi sta
proprio chiamando, non mi resta che scriverne. Hai vinto, Rosa Matteucci. Per
ora.
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