domenica 27 maggio 2012

Massimo Gramellini, Fai bei sogni




Se avessi saputo che il libro di Gramellini è primo in classifica di vendita da parecchie settimane probabilmente non l’avrei comprato, di solito non mi piace seguire queste logiche nella scelta delle mie letture.

La curiosità invece è nata ascoltando un’intervista all’autore durante uno dei pomeriggi di Fahrenheit


Fahrenheit - Intervista a Gramellini

Stavo tornando a casa in macchina e mi hanno colpita le parole di Gramellini secondo il quale tutti abbiamo un segreto nel nostro passato, un trauma, un ricordo che non abbiamo digerito e che ha condizionato la nostra vita e la formazione del nostro carattere.
Questo ricordo è spesso doloroso e difficile da affrontare, per questo il nostro subconscio, con l’intenzione di proteggerci, cerca di distrarci, crea delle difese per ridurre la sofferenza.
Il nostro intuito però sa qual è la verità, e finché non affrontiamo questo ricordo restiamo in qualche modo bambini. Per evolvere e diventare adulti  dobbiamo necessariamente ascoltare la voce dell’intuizione ed accettare infine il fatto che i ricordi negativi non possono essere eliminati, ma può essere eliminato il dolore che ne deriva, e questo accade solo se riusciamo a perdonare gli altri che ci hanno fatto soffrire e a perdonare anche noi  stessi.
La storia nasce quindi dall’idea che nella vita di ognuno c'è un romanzo che può essere raccontato, che non è la sua vita tutta ma una parte di essa, un filo rosso, un fatto traumatico o l’evento dinamico da cui comincia la ricerca.

Psicologia spicciola?
Guarda caso l’autore ha raccontato di aver ricevuto lettere e commenti di tanti lettori che gli confessavano di aver vissuto lo stesso genere di esperienza, e di essersi  molto stupito di non essere il solo.

Molto brevemente  la storia (si tratta di un romanzo autobiografico) è quella di  Massimo  la cui madre muore quando lui ha solo nove anni. Il padre non è in grado di sopperire all’amore materno né di trovare chi possa farlo.  Il ragazzo cresce e fa le sue esperienze profondamente condizionato da questa assenza, finché non troverà il coraggio di affrontare il suo dolore e di scoprire una verità che gli era stata tenuta nascosta.

Devo dire che l’intervista mi ha colpita più del libro, che si legge molto facilmente, è agile, gradevole, ironico, a tratti furbo, mai melenso (l’autore d’altra parte è del mestiere).

In fondo perché dovremmo sempre  analizzare tutto sulla base dello stile letterario, della costruzione dei personaggi, della coerenza della storia…? Questa volta vale la pena, secondo me, lasciarsi trasportare dalla narrazione e godersi una piacevole lettura.




10 commenti:

Monica Gennari ha detto...

Lo sto leggendo adesso, neanch'io sapevo che era primo in classifica. In genere mi disincentivano le classifiche dei libri. Sono solo all'inizio. Ma faccio fatica perché il dolore del bimbo, raccontato come lo racconta, mi entra ancora di più nel profondo. Da quando sono mamma poi....non ne posso nemmeno parlare altrimenti piango. A parte l'impatto emotivo, mi sta piacendo molto, mi piace la scrittura, il candore che ne traspare.

Nidia ha detto...

Mi è piaciuto leggere questo libro con una scrittura semplice e veloce ma che ti tocca profondamente. Mi ha fatto molto riflettere sul fatto di quanto poco conosciamo il mondo interiore dei bambini. Ci basta pensare di doverli proteggere, magari attraverso menzogne...loro non parlano non chiedono...ma soffrono enoi andiamo avanti non accorgendoci di nulla...e magari sapremo la verità su di loro quando saranno adulti...quando ce la sveleranno...
io aspetto ancora...chissà quante cose devo ancora sapere

Barbara Belluzzo ha detto...

Nidia,
credo che lo scopo primo sia quello di dare voce al bambino o alla bambina dentro di noi, alle sue frustrazioni, alle lacrime mai versate e alle carezze perse. Poi certamente questo ci deve far riflettere su quanto siano fondamentali i primi anni di vita per ognuno di noi, il periodo in cui riempiamo il nostro zainetto con i "meccanismio" e le "logiche" che poi ci accompagneranno per il resto della nostra vita, con il rischio di non "vederli" e di non capirli...
Ieri sera ho visto "Sister" (in quati giorni al Giotto). Se siete depressi e avete voglia di piangere vi consiglio di vederlo. Si tratta di un film molto tagliente, quasi banale per la semplicità e la degradazione della relatà e dei sentimenti raccontati. Anche qui una mamma con uno zainetto inadeguato e un ragazzino intento a cecare di riempire il suo...

Nidia ha detto...

Barbara,
sei molto saggia per essere così giovane...io, il mio zainetto lo porto ancora nonostante i miei figli siano ormai adulti.
Forse significa semplicemente che non si smette mai di essere madri.
Grazie per il suggerimento "film da vedere"

Giuliana Neri ha detto...

Conoscevo Gramellini più come giornalista che come scrittore e mi sono avvicinata a questo libro con "leggerezza" e ignorando fosse o stesse per diventare un "best seller".......
Ho scoperto una scrittura semplice ma intensa e mi ha fatto provare tanta simpatia per questo bambino che soffre ma non si arrende.......
Un libro coraggioso !!!
......e mi vien da chiedere : perchè quasi sempre il suicidio è una vergogna da nscondere ??

nidia ha detto...

Perchè chi rimane si sente in qualche modo colpevole pensa di non aver fatto tutto quello che era in suo potere fare per evitare la tragedia...e si vergogna...di se stesso e non di chi se ne è andato.
Io lo considero un atto egoistico e vile...chi lo fa pensa solo a se stesso e non si preoccupa di tutto il dolore e lo sgomento che lascia dietro di se.

Unknown ha detto...

..ma chi lo fa raggiunge vette di sofferenza e dolore intollerabili e non ha certo la lucidità di pensare a chi rimane...spesso c'è dietro una malattia, un disagio psicologico..grave....spesso chi lo fa ha provato a cercare aiuto prima di arrivare ad un gesto così estremo e non l'ha trovato.. Impossibile giudicare e anche difficile parlarne, si prova un gran disagio..il suicidio resta sempre un argomento tabù

Paola ha detto...

E poi c'è anche il suicidio assistito di cui si parlava ieri sera. Quello non solo è tollerato, ma un'ampia fetta della società auspica che venga presto regolamentato.
In fondo la mamma del libro si toglie la vita perchè scopre di essere malata terminale e ha paura di soffrire.
E quando si è suicidato Monicelli gettandosi dalla finestra perchè ormai avrebbe solo sofferto quanti hanno pensato ad un gesto coraggioso?

Barbara Belluzzo ha detto...

ma no, non è una malata terminale, è una depressa che si sente inadeguata davanti alla dura prova che la vita le ha riservato. probabilmente era già morta prima di lanciarsi dalla finestra.
ma anche questo a mio parere è esente da ogni giudizio, solo necessita di essere Visto. possibilmente per tempo...

Unknown ha detto...

..l'ho ricevuto in regolo proprio oggi!!! non vedo l'ora di leggerlo!