Quanto mi è piaciuto questo
film! Mi è rimasto appiccicato addosso. Con buona pace dei critici che durante
il festival di Venezia l’hanno fischiato e deriso. Chissà perché poi? Io non ci
ho trovato niente di ridicolo. Ma tant’è:
magari un film non soddisfa i criteri della critica cinematografica però
colpisce al cuore. E infatti eccomi qui a raccontare quello che ha colpito me.
Ho dovuto guardarlo due volte perché la prima l’avevo preso troppo di petto e
volevo trovare qualcos’altro da raccontare che non fossero solo sensazioni.
Marina ha un figlio di due
anni e lo porta in montagna per trascorrere un mese di vacanza/cura. Prende in
affitto la casa più isolata del paese, dove al piano di sotto vive Manfred, una
guida alpina dal carattere schivo e scontroso, abbandonato dalla moglie che se
n’è andata con i due figli. Marina si ritrova ben presto a fare i conti con la
solitudine e con la gestione di un bambino piccolo che piange ogni notte.
Finché un giorno succede un incidente. Manfred accorre in aiuto della donna e
del bambino, e da quel momento inizia un tormentato rapporto tra i due che si
attraggono e si respingono e indagano i reciproci segreti.
Sono due gli aspetti del film
che mi sono rimasti in mente. Il primo riguarda il ruolo della madre.
Marina cerca di fare del suo
meglio con il bambino, cerca di essere paziente amorevole e positiva anche
quando lui si sveglia ogni notte e non le dà tregua con il suo pianto che le
trapana il cervello, anche se lui le
succhia tutte le energie. Non c’è dubbio che lo ami, ma è pericolosamente
vicina ad un crollo nervoso. Fin dalle prime scene del film ci aspettiamo che
accada qualcosa di terribile. Sinceramente ho temuto il peggio, e ammetto di
essere andata a leggere la trama in anticipo perché non so se avrei retto
qualcosa di tragico. Non preoccupatevi, l’irreparabile non succede. Ma Marina
ci va molto vicino. Solo confrontandosi in seguito con la cognata di Manfred, il
ritratto della madre saggia ed equilibrata, scopre che molte donne provano questi
sentimenti ambivalenti di amore/odio nei
confronti dei loro bambini piccoli, e scoprendo questo si rincuora e si sente
meno sola.
Mi capita spesso di parlare delle
difficoltà a cui vanno incontro le mamme con bimbi piccoli, e ci si chiede
sempre Ma le nostre madri come facevano?
Indubbiamente i tempi erano
diversi. Oggi le donne devono arrivare puntuali al lavoro (ovviamente la
maggior parte deve lavorare) ed essere efficienti, devono preparare la cena, pulire
il bagno, fare il bucato, tenere la casa in ordine, tenere se stesse in ordine e
in più occuparsi dei loro figli piccoli che richiedono un’attenzione costante e
totalizzante. Ma soprattutto non devono mai cedere e sono oggetto di analisi e
critiche da parte di chi è sempre pronto a giudicarle per come educano i
bambini, se li lasciano piangere finché non smettono da soli o se li prendono
in braccio, se li viziano, se li fanno dormire con loro nel lettone, cosa è
giusto e cosa è sbagliato.
Forse le nostre mamme hanno
vissuto i nostri primi anni in modo meno esasperato, forse non veniva richiesto
loro di essere sempre perfette, forse godevano di una rete di amiche e parenti
più ampia e disponibile a cui appoggiarsi, forse c’erano meno stress e meno
aspettative attorno a loro.
Ma io non ho l’esperienza
personale per dire altro su questo argomento, quindi lascio lo spazio a chi ne
sa più di me.
Il secondo aspetto riguarda il
rapporto che si crea tra Marina e Manfred, che si passano vicino e condividono
un breve attimo e poi le loro vite proseguono per strade e direzioni diverse.
L’attimo più intenso e significativo
della loro esistenza. L’ultima immagine del film, due funivie che si incrociano a metà strada, rallentano
per un istante, e poi proseguono in direzioni opposte è forse un’immagine un
po’ stucchevole che però rende perfettamente l’idea.
Entrambi sanno di avere lo
stesso inconfessabile segreto e questa consapevolezza crea tra loro una tensione alla quale a stento
resistono. A volte si avvicinano, quasi si toccano, ma poi si respingono per la
paura di rivelare a se stessi e all’altro ciò che nascondono nel profondo, però
l’attrazione tra loro è troppo forte per tenerli lontani l’uno dall’altra.
Il personaggio di Marina comunque evolve
positivamente. All’inizio non chiama neanche il figlio per nome, lo chiama
sempre “il bambino”, alla fine del film è diventato Marco. Marina diventa
sempre più forte grazie all’incontro con la cognata di Manfred che le fa capire
che non è sola o diversa.
Manfred invece resta lo stesso
fino alla fine. Porta dentro di sé ben cristallizzate le ferite di un bambino
che è stato abbandonato dalla madre, è chiuso e lotta contro tutti e contro il
mondo, ostinato e cupo. In seguito ad un incidente in montagna resterà
parzialmente invalido e dovrà rinunciare alla sua vita solitaria, accetterà il
ritorno della moglie e si sforzerà di vivere una vita più normale.
Manfred e Marina si sono
toccati nel profondo. Lei non tradisce fisicamente suo marito, torna da lui e continuala
sua vita. Ma dopo tanti anni andrà a riprendersi il pezzo che mancava. Tu sei la mia donna, le
dirà Manfred, dopo l’unica notte che trascorreranno assieme. Si appartengono
perché condividono la parte più oscura delle loro anime, che nessun altro
conosce perché nessun altro potrebbe capire ed accettare.
Fa da scenario un meraviglioso
paesaggio di montagna, sia estivo che invernale, riflesso della durezza e dell’asperità della vita. Montagne
che diventano a pieno titolo un personaggio della storia.
E’ bella Claudia Pandolfi, di
una bellezza semplice e pulita, è brava a trasmettere il suo tormento e la sua
angoscia (anche se qualcuno ha criticato le sue occhiaie eccessivamente
marcate).
E’ bravo Filippo Timi, in un
ruolo, quello dell’uomo rude e schivo, in cui forse l’abbiamo già visto altre
volte, ma che gli si cuce sempre bene addosso.
Concludo dicendo che lo so,
questo film non avrebbe meritato comunque di vincere grandi premi.
A me però è piaciuto
moltissimo.
Ora vedremo il libro…..
Quando la Notte,
di C.Comencini, Italia 2011
Con Claudia Pandolfi, Filippo Timi, Thomas Trabacchi e Michela Cescon
Durata 108’