venerdì 29 giugno 2012

Confronto sugli anni del terrorismo


Questa volta faccio un paragone tra due libri che ho appena  letto e che trattano entrambi l’argomento degli anni di piombo. Li ho trovati abbastanza diversi nell’approccio, direi quasi che si percepisce  la differenza tra la scrittura maschile e quella femminile.
Del libro di Benedetta Tobagi dico subito che l’ho comprato d’impulso appena l’ho scoperto (acquistato in tempo reale in versione e-book, meraviglie del digitale che soddisfa gli ingordi!). Ascoltavo spesso Benedetta quando conduceva la rassegna stampa delle pagine culturali su Radio Tre, la leggo su Repubblica e ho scoperto con piacere il suo lato ironico al mattino su Caterpillar A.M.  E’ una donna che mi piace, sapevo che era figlia di Walter Tobagi ma di lui non conoscevo nulla, per questo ho subito scaricato il libro.

Walter Tobagi è stato un giornalista e scrittore italiano caduto vittima di un attentato terroristico perpetrato dal gruppo di estrema sinistra Brigata XXVIII marzo.
Nel  libro di Benedetta si alternano  capitoli di stampo giornalistico ricchi di nomi, date, fatti , citazioni e documenti   a capitoli in cui l’elemento personale ed affettivo emergono con forza e delicatezza, quasi non riesca ad escludere dalla cronaca gli aspetti più privati. Ricordi e sensazioni hanno comunque il pregio di umanizzare un racconto altrimenti forse un po’ troppo cronachistico che personalmente non mi coinvolge molto.

Luigi Calabresi è stato un commissario di polizia anche lui caduto vittima di un’azione di terrorismo, i cui esecutori e mandanti furono individuati nei membri di Lotta Continua Sofri, Bompressi e Pietrostefani.  Il suo assassinio è strettamente legato alla controversa vicenda della morte dell’anarchico Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano durante un interrogatorio.
Nel libro di Calabresi l’elemento privato è più  diluito,  meno intenso ma costante in tutte le pagine con alcuni passaggi più toccanti. Il tono è sempre abbastanza  controllato e l'operazione è più romanzo che cronaca. Si intuisce tra le righe un approccio più distaccato e senza intenti accusatori ma anche senza  rassegnazione.

Quello che emerge tristemente in entrambi i libri è che stiamo parlando di una pagina davvero brutta della nostra storia recente. Ancora più grave è il fatto che questa pagina sia stata  volutamente messa da parte. La sensazione è che se si “aprissero gli archivi” probabilmente verrebbero fuori fiumi di sporcizia e accordi molto poco puliti. Tanto a destra quanto a sinistra. Tanto in alto quanto in basso.  Meglio quindi sotterrare tutto e nascondere gli scheletri negli armadi.  Non credo che sia un caso se molti di noi, io per prima,  non sappiamo molto della storia di quegli anni, che resta sempre (volutamente?) ingarbugliata e nebulosa. Forse invece sarebbe il caso di pretendere di informarsi e fare piena luce sulle dinamiche  che hanno contraddistinto la vita politica del nostro paese negli anni poco studiati dal dopoguerra ad oggi. Anche nelle scuole, dove a quanto mi ricordo la storia finisce con la fine della seconda guerra mondiale.


lunedì 25 giugno 2012

7 Days in Havana


Scrivo di getto una breve recensione sull’onda delle sensazioni che ho ancora addosso dopo aver visto questo film. Lo trovate in sala per questa settimana, non so se poi sarà facile reperirlo.

Sono sette affreschi firmati da sette diversi registi, sette cartoline da Cuba.
Le recensioni che ho letto dopo la presentazione all’ultimo festival di Cannes non erano ottime, e in effetti gli episodi centrali sono i meno riusciti. Divertentissima però la giornata che vede protagonista il vero Emir Kusturica, alcoolico artista in trasferta a Cuba a ritirare un premio, trascinato alla fine della giornata ad una festa jam session jazzistico caraibica con splendidi musicisti sconosciuti. Oppure l’ultimo capitolo in cui un’anziana stregona tiranneggia una comunità di fedeli affinché costruiscano nel suo salotto un altare alla madonna con tanto di piscina di acqua di mare e pesci veri.  Religione che permea tutto il capitolo in cui la giovane che ha avuto tentazioni lesbiche peccatrici viene sottoposta ad un oscuro rito purificatore che mi ha fatto pensare… che ogni religione ha i suoi rituali.

Comunque fresco questo film, pieno luce e di musica inebriante, ora ho voglia di partire e di andare a camminare per quelle strade decadenti e ricche di un’anima così unica.  

Trailer

Regia di Benicio del Toro, Pablo Trapero, Julio Medem, Elia Suleiman, Gaspar Noè, Juan Carlos Tabìo, Laurent Cantet 
Spagna, Francia 2012, Durata 100'



mercoledì 20 giugno 2012

Miracolo a Le Havre


I miei amici mi hanno parlato di questo film in toni così entusiastici che dovevo vederlo!
A dire il vero  non me ne sono innamorata, tuttavia ci sono parecchi aspetti di cui merita parlare.

Come abbiamo già visto un film può appassionare pur non avendo grandi meriti tecnici o narrativi oppure può avere molti meriti tecnici ma non arrivare al cuore. Credo che su questo siamo tutti d’accordo.
Personalmente non conosco l’opera di questo regista finlandese, non ho mai visto un suo film quindi non posso fare un’analisi basandomi sulle sue tematiche ricorrenti o sull’evoluzione del suo stile e del suo pensiero.
Detto questo vi racconto quello che mi ha colpito.

Anzitutto un breve riassunto: Marcel Marx, un ex bohemien di mezza età, vive a Le Havre sbarcando il lunario come lustrascarpe. Vicino a lui la moglie Arletty con la quale condivide un’esistenza povera di mezzi  ma dignitosa. All’improvviso nella sua vita irrompe un fatto nuovo:  mentre Arletty  è ricoverata all’ospedale per una grave malattia lui incontra un piccolo profugo africano, gli dà ospitalità e decide di aiutarlo a trovare i mezzi per raggiungere la sua famiglia in Inghilterra e scappare dalla polizia che lo sta cercando.

La prima cosa che mi ha colpito è la fotografia davvero particolarissima, con colori molto carichi che rendono le scene quasi irreali, fiabesche, un po’ come nei quadri naif o nei cartoni animati.
I personaggi sono quasi caricaturali sia nell’aspetto fisico che nelle movenze, in particolare l’ispettore di polizia e il cantante rock idolo dei tempi andati (che mi ha ricordato tanto Little Tony).
Ci sono poi delle incongruenze, ad esempio la valuta circolante è l’euro ma le macchine per la strada sembrano uscite dagli anni cinquanta/sessanta.

Forse però tutto questo ha un senso…

Forse la vera grandezza del film sta nel messaggio che vuole lasciare: in un mondo povero di mezzi economici  vincono la solidarietà e la ricchezza dei rapporti umani. Tutti gli abitanti del piccolo povero quartiere fanno il possibile per aiutare Marcel e il ragazzino a nascondersi dalla polizia e a fuggire, anche a costo di mettersi nei guai. Anche se hanno a malapena i mezzi per vivere nessuno esita a dare il proprio contributo. Perfino l’ispettore di polizia che dovrebbe essere il nemico alla fine aiuta il piccolo profugo ad imbarcarsi. E tutto con una grandissima semplicità, senza proclami, sbandieramenti o retorica. Il vero ed unico cattivo della storia resta il vicino delatore, cattivo proprio perché denuncia e tradisce la comunità.
Per questo forse il regista  ha volutamente inserito le incongruenze e caricaturizzato personaggi e situazioni allo scopo di  far passare un messaggio di solidarietà senza risultare buonista o sdolcinato.
Direi che in un periodo storico come il nostro sarebbe meglio seguire la strada che ci indica Kaurismaki ed imparare a dare più valore ai rapporti umani che al denaro.

Mi piacerebbe che gli amici che lo hanno visto e che ne sono entusiasti (ma anche quelli che invece non l’hanno amato) arricchissero questo post con le loro opinioni.


Miracolo a Le Havre di A.Kaurismaki, Finlandia Francia Germania 2011
Con A.Wilms, K.Outinen, JP Daroussin
Durata 93’

mercoledì 13 giugno 2012

Il mio primo e-book


Ho appena letto il mio primo libro con il Kindle!!!
Visto che forse è un evento epocale mi sembra il caso di parlarne.

Anzitutto un paio di nozioni tecniche:  per chi non lo sapesse (di certo qualcuno ancora non lo sa), il Kindle è l’e-book reader della Amazon. E l’e-book reader è un dispositivo portatile sul quale si possono leggere i libri in formato elettronico, appunto gli e-book. Gli e-book si possono leggere anche sul computer o sui tablet come l’i-pad, ma a differenza di questi ultimi con il Kindle si può solo leggere, non ci sono altre funzioni come ad esempio la navigazione in rete. Tuttavia si connette a internet in wireless per poter scaricare i libri dal sito di Amazon. Più o meno è così.
Seconda nozione tecnica: Kindle si pronuncia proprio /kindl/ con la i e non /kaindl/ come pensavo io all’inizio (correggendo saccente quelli che lo pronunciavano in modo corretto). Ho fatto una breve ricerca per capire da cosa deriva il nome e ho trovato che: “A quanto pare il nome "Kindle" è stato scelto dal grafico Michael Cronan. In inglese "Kindle" siginifica "appiccare il fuoco", "accendere" o, in senso figurato, "suscitare interesse o entusiasmo". […] Lo spunto è stato preso nientepopòdimeno che da Voltaire, il quale scrisse: L'istruzione che troviamo nei libri è come il fuoco. La prendiamo dai nostri vicini, la accendiamo [kindle] a casa, la comunichiamo ad altri ed essa diviene propietà di tutti.”
Piccole annotazioni sfiziose.

Detto questo so cosa pensa gran parte di voi, il libro di carta è meglio. Ho già visto espressioni poco convinte quando ne ho parlato a voce con qualcuno.  Ammetto che anch’io inizialmente la pensavo così. Il piacere di tenere il libro in mano, di sfogliarlo, ritrovare i vecchi volumi letti tanti anni fa con le pagine un po’ ingiallite, la sensazione soprattutto non solo di poterne gustare il contenuto ma anche di toccarli e vederli. Per non parlare del piacere di vagabondare in libreria…
Poi un’amica che io consideravo molto più legata alla carta di me me ne ha parlato in termini entusiastici. Colpo di scena! In un attimo mi si è capovolta la prospettiva e si è accesa la curiosità! Se lo diceva lei….. Così me lo sono fatta prestare, ho provato a leggere un po’ e in effetti non era male. Comunque restavo ancora scettica… Finché è arrivato un Babbo Natale di maggio a rompere gli indugi regalandomi il misterioso oggetto.

Il libro che ha meritato l’onore del primo acquisto (anzi, su Amazon l’ho trovato gratis) è stato uno dei miei preferiti, Cime Tempestose nella versione originale Wuthering Heights. E sì, perché uno dei vantaggi enormi dell’e-book è che si possono acquistare i libri in versione originale praticamente in tutte le lingue senza farseli spedire dall’estero o sfruttare i viaggi degli amici! La stessa cosa vale per l'acquisto dei giornali, che però non ho ancora sperimentato.
E poi si legge davvero bene. Perché il Kindle non è retroilluminato come gli schermi dei computer quindi la vista non si stanca. E’ proprio come leggere sulla carta, il fondo è bianco, si vede benissimo alla luce e ovviamente non si vede al buio. Pesa come un libro di medio spessore, se c’è vento non si girano le pagine, se si va in viaggio si carica una buona scorta di titoli, metti che il libro che ti sei portato non è adatto per quel momento… ne scegli subito un altro.
(Piccolo inciso, sono stata recentemente all’estero e questo strano oggetto per noi sconosciuto si vede ormai ovunque, basta anche solo uscire dalla provincia di Trieste…)

Certo, si tratta di uno strumento di lettura completamente diverso al quale ci si deve abituare.  

Con il libro vedi subito a che punto sei e quanto ti manca alla fine, puoi verificare in un attimo se i capitoli sono infinitamente lunghi o brevi al punto giusto (cosa che almeno per quanto mi riguarda spesso influenza la mia decisione se affrontarlo subito o rimandare la lettura al prossimo inverno nel caso di capitoli infinitamente lunghi). Con l’e-book invece si può solo vedere la percentuale di quanto letto fino a quel momento e non il numero di pagine perché siccome i caratteri si possono ingrandire o rimpicciolire il numero di pagine varia in proporzione.

La batteria dura settimane e settimane, visto che l’unica sua funzione è quella di stare acceso, e se non si conosce il significato di una parola basta evidenziarla e si apre un collegamento al dizionario (credo che all’occorrenza si possano caricare i dizionari di tutte le lingue).

Anni e anni e anni di letture su carta di certo non si cancellano in un e-book ma secondo me l’importante è sapere che una cosa non esclude l’altra. Possono tranquillamente coesistere e noi decideremo a seconda della necessità del momento.
 Mi chiedo invece, chissà se in un futuro neanche troppo lontano quei vecchi cari pesanti e polverosi libri ci sembreranno preistoria…. 

p.s. Che libro ho letto? Ve ne parlerò nel prossimo post!

lunedì 11 giugno 2012

Quando la notte - Il libro


Eccoci qui… Quando la notte parte seconda, il libro.
Non ho resistito alla curiosità e l’ho letto tutto d’un fiato.

Confesso subito, il film mi ha emozionata di più.
Il libro mi è sembrato furbo e ammiccante. Un’operazione commerciale ben riuscita grazie all’uso dello stile che va di moda ultimamente, frasi brevi, secche, dirette, anche un po’ volgari, ed il continuo alternarsi del punto di vista di Marina con quello di Manfred che si fa più concitato nelle fasi finali quando la tensione cresce. Peccato, in questo senso avrei preferito qualcosa di meno banale.
Per quanto riguarda invece i contenuti nel libro ci sono dei dettagli che a mio parere completano il ritratto dei protagonisti. Manfred e Marina vengono analizzati più in profondità soprattutto per quanto riguarda il loro passato che invece nel film viene raccontato poco.
Scopriamo il rapporto che ha Marina con le sue sorelle, come trascorreva le estati al mare, le sue storie d’amore e come ha conosciuto suo marito Mario (di quest’ultimo nel film non sapevamo neanche il nome?). La regista avrebbe potuto inserirli ad esempio con dei flash-back.

Più rilevante: mentre nel film Marina sembra essere sopraffatta dalla sua debolezza nel libro scopriamo che invece conosce bene il suo lato oscuro che non riguarda  solo la difficoltà di gestire il bambino ma è un aspetto molto più sedimentato e profondo che ha a che fare con l’incapacità di seguire gli schemi sociali comunemente accettati.
Marina e Manfred si capiscono non tanto perché condividono il segreto di quella notte, ma perché sanno di essere entrambi degli outsider della società. Li accomuna un lato oscuro che li lega nel profondo. Verso la fine del libro infatti Marina dirà che Manfred è l’unico a non aver avuto paura di lei a differenza di tutti gli altri, in primis Mario, che preferisce far finta di non vedere piuttosto di affrontare la verità.

Scopriamo anche alcuni dettagli del passato di Manfred, che per quanto riguarda la sua vita coniugale sono un po’ a livello di romanzo rosa. Quello che invece mi sembra più interessante e che nel libro emerge ancora più chiaramente che nel film è il suo chiodo fisso, l’evento dinamico da cui ha origine la storia (cito me stessa in un post precedente!!!) ovvero la paura di essere abbandonato. E’ stato abbandonato dalla madre quando era piccolo, si è fatto abbandonare dalla moglie e quando Marina è con lui all’ospedale prima di andarsene lui le mormora all'orecchio Non mi lasciare, e poi si corregge Non lasciare il bambino. Lapsus non da poco, chissà chi è questo bambino?

Decisamente il film mi ha emozionata di più e mi ha fatto pensare a lungo e in più direzioni.
Chi volesse affrontare questa lettura comunque trascorrerà di certo un paio d’ore piacevoli.





mercoledì 6 giugno 2012

Quando la notte


Quanto mi è piaciuto questo film! Mi è rimasto appiccicato addosso. Con buona pace dei critici che durante il festival di Venezia l’hanno fischiato e deriso. Chissà perché poi? Io non ci ho trovato niente di ridicolo. Ma tant’è:  magari un film non soddisfa i criteri della critica cinematografica però colpisce al cuore. E infatti eccomi qui a raccontare quello che ha colpito me. Ho dovuto guardarlo due volte perché la prima l’avevo preso troppo di petto e volevo trovare qualcos’altro da raccontare che non fossero solo sensazioni.

Marina ha un figlio di due anni e lo porta in montagna per trascorrere un mese di vacanza/cura. Prende in affitto la casa più isolata del paese, dove al piano di sotto vive Manfred, una guida alpina dal carattere schivo e scontroso, abbandonato dalla moglie che se n’è andata con i due figli. Marina si ritrova ben presto a fare i conti con la solitudine e con la gestione di un bambino piccolo che piange ogni notte. Finché un giorno succede un incidente. Manfred accorre in aiuto della donna e del bambino, e da quel momento inizia un tormentato rapporto tra i due che si attraggono e si respingono e indagano i reciproci segreti.


Sono due gli aspetti del film che mi sono rimasti in mente. Il primo riguarda il ruolo della madre.
Marina cerca di fare del suo meglio con il bambino, cerca di essere paziente amorevole e positiva anche quando lui si sveglia ogni notte e non le dà tregua con il suo pianto che le trapana il  cervello, anche se lui le succhia tutte le energie. Non c’è dubbio che lo ami, ma è pericolosamente vicina ad un crollo nervoso. Fin dalle prime scene del film ci aspettiamo che accada qualcosa di terribile. Sinceramente ho temuto il peggio, e ammetto di essere andata a leggere la trama in anticipo perché non so se avrei retto qualcosa di tragico. Non preoccupatevi, l’irreparabile non succede. Ma Marina ci va molto vicino. Solo confrontandosi in seguito con la cognata di Manfred, il ritratto della madre saggia ed equilibrata, scopre che molte donne provano questi sentimenti  ambivalenti di amore/odio nei confronti dei loro bambini piccoli, e scoprendo questo si rincuora e si sente meno sola.
Mi capita spesso di parlare delle difficoltà a cui vanno incontro le mamme con bimbi piccoli, e ci si chiede sempre Ma le nostre madri come facevano?
Indubbiamente i tempi erano diversi. Oggi le donne devono arrivare puntuali al lavoro (ovviamente la maggior parte deve lavorare) ed essere efficienti, devono preparare la cena, pulire il bagno, fare il bucato, tenere la casa in ordine, tenere se stesse in ordine e in più occuparsi dei loro figli piccoli che richiedono un’attenzione costante e totalizzante. Ma soprattutto non devono mai cedere e sono oggetto di analisi e critiche da parte di chi è sempre pronto a giudicarle per come educano i bambini, se li lasciano piangere finché non smettono da soli o se li prendono in braccio, se li viziano, se li fanno dormire con loro nel lettone, cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Forse le nostre mamme hanno vissuto i nostri primi anni in modo meno esasperato, forse non veniva richiesto loro di essere sempre perfette, forse godevano di una rete di amiche e parenti più ampia e disponibile a cui appoggiarsi, forse c’erano meno stress e meno aspettative attorno a loro.
Ma io non ho l’esperienza personale per dire altro su questo argomento, quindi lascio lo spazio a chi ne sa più di me.

Il secondo aspetto riguarda il rapporto che si crea tra Marina e Manfred, che si passano vicino e condividono un breve attimo e poi le loro vite proseguono per strade e direzioni diverse. L’attimo  più intenso e significativo della loro esistenza. L’ultima immagine del film,  due funivie che si incrociano a metà strada, rallentano per un istante, e poi proseguono in direzioni opposte è forse un’immagine un po’ stucchevole che però rende perfettamente l’idea.
Entrambi sanno di avere lo stesso inconfessabile  segreto  e questa consapevolezza  crea tra loro una tensione alla quale a stento resistono. A volte si avvicinano, quasi si toccano, ma poi si respingono per la paura di rivelare a se stessi e all’altro ciò che nascondono nel profondo, però l’attrazione tra loro è troppo forte per tenerli lontani l’uno dall’altra.
 Il personaggio di Marina comunque evolve positivamente. All’inizio non chiama neanche il figlio per nome, lo chiama sempre “il bambino”, alla fine del film è diventato Marco. Marina diventa sempre più forte grazie all’incontro con la cognata di Manfred che le fa capire che non è sola o diversa.
Manfred invece resta lo stesso fino alla fine. Porta dentro di sé ben cristallizzate le ferite di un bambino che è stato abbandonato dalla madre, è chiuso e lotta contro tutti e contro il mondo, ostinato e cupo. In seguito ad un incidente in montagna resterà parzialmente invalido e dovrà rinunciare alla sua vita solitaria, accetterà il ritorno della moglie e si sforzerà di vivere una vita più normale.
Manfred e Marina si sono toccati nel profondo. Lei non tradisce fisicamente suo marito, torna da lui e continuala sua vita. Ma dopo tanti anni andrà a riprendersi  il pezzo che mancava. Tu sei la mia donna, le dirà Manfred, dopo l’unica notte che trascorreranno assieme. Si appartengono perché condividono la parte più oscura delle loro anime, che nessun altro conosce perché nessun altro potrebbe capire ed accettare.

Fa da scenario un meraviglioso paesaggio di montagna, sia estivo che invernale, riflesso della  durezza e dell’asperità della vita. Montagne che diventano a pieno titolo un personaggio della storia.

E’ bella Claudia Pandolfi, di una bellezza semplice e pulita, è brava a trasmettere il suo tormento e la sua angoscia (anche se qualcuno ha criticato le sue occhiaie eccessivamente marcate).
E’ bravo Filippo Timi, in un ruolo, quello dell’uomo rude e schivo, in cui forse l’abbiamo già visto altre volte, ma che gli si cuce sempre bene addosso.

Concludo dicendo che lo so, questo film non avrebbe meritato comunque di vincere grandi premi.
A me però è piaciuto moltissimo.
Ora vedremo il libro…..

Quando la Notte, di C.Comencini, Italia 2011
Con Claudia Pandolfi, Filippo Timi, Thomas Trabacchi e Michela Cescon
Durata 108’