venerdì 21 settembre 2012

... senza Pietà


Il dibattito sul film che ha vinto la Palma d’Oro alla mostra del cinema di Venezia è stato molto vivace in questi giorni. Pietà si o Pietà no? Io dico no. Forse avevo sentito troppi commenti e conoscevo già tutta la trama, resta il fatto che durante la visione ho provato ben poche emozioni e nessun sussulto, nessuna sorpresa.

Brevemente questa è la trama: Kang-do lavora per uno strozzino e deve incassare i debiti dei clienti ritardatari. Per farlo mutila orribilmente le sue vittime in modo da ottenere il risarcimento per invalidità da parte dell’assicurazione. Un giorno si presenta da lui una donna che afferma di essere la madre che lo ha abbandonato subito dopo la nascita. Per convincerlo della sua identità accetta le più impensabili violenze fisiche e morali, e quando finalmente conquista la fiducia di Kang-do  rendendolo  più umano e vulnerabile scopriamo che in realtà non è sua madre, ma la madre di una delle vittime che cerca a sua volta vendetta.

Nonostante il film non mi sia piaciuto concordo con chi sostiene che lui è un mostro, che la storia è durissima, che lei è molto brava, che le scene sono brutali pur senza spargimento di sangue. La crudeltà è estrema, non solo quella del figlio ma anche quella della madre talmente disperata da mettere in atto lucidamente una vendetta così atroce. Eppure… oltre ad avere conferma di quanto già mi aspettavo il film non mi ha dato altro. 

Sarà anche che la filmografia orientale non è tra le mie preferite, tuttavia Kim Ki-duk era l’unico regista di questo genere che apprezzavo, ma ora si è occidentalizzato un po' troppo. Ferro 3 mi aveva rapita dal primo all’ultimo fotogramma pur essendo un film in cui nessuno parlava (!) Per non parlare della poesia di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. E poi questo esercizio di stile, questo sfoggio di sé, questo tentativo di compiacere il pubblico europeo. Il mio scetticismo deriva certamente anche dalla sensazione di essere  considerata uno spettatore facilmente manipolabile.
Qualcuno dice che la svolta del regista ha a che fare con la depressione che lo ha colpito negli ultimi anni, e non stento a crederci. Però ripeto, ho la sensazione che in Occidente Kim Ki-duk  sia ormai diventato un’icona e che come tale venga osannato qualsiasi cosa faccia. Era quasi ovvio che avrebbe vinto il massimo premio a Venezia. Forse questa ovvietà lo ha reso meno interessante ai miei occhi.

A mio parere uno degli elementi che danno valore ad un film è la capacità di sconvolgere lo spettatore. (Prendiamo ad esempio Biutiful di Alejandro González Iñárritu con Javier Bardem che mi ha lasciata letteralmente senza parole e con una stretta allo stomaco!) I film solo tecnicamente perfetti mi annoiano. Però ognuno di noi ha un suo percorso unico e personalissimo, e quello che lascia indifferente me può risultare sconvolgente per un’altra persona.
Questa è solo la mia personale opinione, e trovo interessante osservare che il giudizio su quest’opera non sia affatto unanime. Fortunatamente il cinema non è matematica e almeno in questo campo non esistono delle opinioni giuste e altre sbagliate, un vero e un falso.

Pietà di Kim Ki-duk, Corea del Sud 2012
Con Lee Jeong-jin e Jo Min-soo
Durata 104’

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