Il dibattito sul film che ha
vinto la Palma d’Oro alla mostra del cinema di Venezia è stato molto vivace in
questi giorni. Pietà si o Pietà no? Io dico no. Forse avevo sentito troppi
commenti e conoscevo già tutta la trama, resta il fatto che durante la visione
ho provato ben poche emozioni e nessun sussulto, nessuna sorpresa.
Brevemente questa è la trama:
Kang-do lavora per uno strozzino e deve incassare i debiti dei clienti
ritardatari. Per farlo mutila orribilmente le sue vittime in modo da ottenere
il risarcimento per invalidità da parte dell’assicurazione. Un giorno si
presenta da lui una donna che afferma di essere la madre che lo ha abbandonato subito dopo la nascita. Per convincerlo della sua identità accetta le più
impensabili violenze fisiche e morali, e quando finalmente conquista la fiducia
di Kang-do rendendolo più umano e vulnerabile scopriamo che in realtà non è sua
madre, ma la madre di una delle vittime che cerca a sua volta vendetta.
Nonostante il film non mi sia
piaciuto concordo con chi sostiene che lui è un mostro, che la storia è
durissima, che lei è molto brava, che le scene sono brutali pur senza
spargimento di sangue. La crudeltà è estrema, non solo quella del figlio ma
anche quella della madre talmente disperata da mettere in atto lucidamente una vendetta così
atroce. Eppure… oltre ad avere conferma di quanto già mi aspettavo il film non
mi ha dato altro.
Sarà anche che la filmografia
orientale non è tra le mie preferite, tuttavia Kim Ki-duk era l’unico regista
di questo genere che apprezzavo, ma ora si è occidentalizzato un po' troppo. Ferro 3 mi aveva rapita dal primo all’ultimo
fotogramma pur essendo un film in cui nessuno parlava (!) Per non parlare della
poesia di Primavera, estate, autunno, inverno…
e ancora primavera. E poi questo esercizio di stile, questo sfoggio di sé,
questo tentativo di compiacere il pubblico europeo. Il mio scetticismo
deriva certamente anche dalla sensazione di essere considerata uno spettatore facilmente
manipolabile.
Qualcuno dice che la svolta del
regista ha a che fare con la depressione che lo ha colpito negli ultimi anni, e
non stento a crederci. Però ripeto, ho la sensazione che in Occidente Kim
Ki-duk sia ormai diventato un’icona e
che come tale venga osannato qualsiasi cosa faccia. Era quasi ovvio che avrebbe
vinto il massimo premio a Venezia. Forse questa ovvietà lo ha reso meno
interessante ai miei occhi.
A mio parere uno degli
elementi che danno valore ad un film è la capacità di sconvolgere lo
spettatore. (Prendiamo ad esempio Biutiful
di Alejandro González Iñárritu con Javier Bardem che mi ha
lasciata letteralmente senza parole e con una stretta allo stomaco!) I film
solo tecnicamente perfetti mi annoiano. Però ognuno di noi ha un suo percorso
unico e personalissimo, e quello che
lascia indifferente me può risultare sconvolgente per un’altra persona.
Questa è solo la mia personale
opinione, e trovo interessante osservare che il giudizio su quest’opera non sia
affatto unanime. Fortunatamente il cinema non è matematica e almeno in questo
campo non esistono delle opinioni giuste e altre sbagliate, un vero e un falso.
Pietà di Kim Ki-duk, Corea del Sud 2012
Con Lee Jeong-jin e Jo Min-soo
Durata 104’
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