A distanza di giorni ancora
non so dire se questo film è davvero bello o se semplicemente ha fatto breccia
su qualche parte nascosta di me. Quando
sono uscita dal cinema pensavo che le immagini mi sarebbero tornate in mente
con insistenza nei giorni successivi, come spesso mi capita con i film che mi
colpiscono. Invece niente, neanche una sensazione. Fino ad oggi, quando tutto d’un
tratto mi è tornata in mente la canzone che fa da colonna sonora allo spettacolo di
Stephanie, e pian piano le sensazioni sono riaffiorate.
Ho davanti agli occhi la scena
al parco acquatico quando Stephanie con i movimenti delle braccia dirige da
bordo vasca la danza delle orche prima dell’incidente. E poi l’immagine di lei sul
terrazzo, che nel suo lento ritorno alla vita ripete le stesse mosse con il
volto illuminato dal sole, e la canzone risuona in lontananza. E infine
la scena più commovente, quando torna al parco, richiama l’orca con un battito
sulla parete della vasca e le parla oltre al vetro con le mani, nel silenzio
acquatico, ed il gigantesco animale risponde a cenni.
Il film però non è tutto su
Stephanie, anzi forse il vero protagonista è Alì con la sua storia. Alì che è
stato lasciato dalla moglie con un figlio di cinque anni a cui badare (forse meglio
così visto che la madre usava il piccolo come corriere della droga) e va a
cercare aiuto dalla sorella ad Antibes. Alì che è solo potenza fisica, con un
quoziente intellettivo al limite dello zero cosmico, assolutamente incapace di
scendere sotto la superficie delle cose. Eppure è proprio lui che salva
Stephanie, vittima di un incidente in cui ha perso entrambe le gambe dal
ginocchio in giù. Lui la tratta normalmente, come se la sua menomazione fosse
solo un fastidio come un altro, se la carica sulle spalle e la porta in spiaggia
senza dare peso al suo disagio, fa sesso con lei come avrebbe fatto con
qualsiasi altra quasi senza notare che è senza gambe. Non avendo giudizi non ha neanche pregiudizi. Però alla fine
la salva. Con il suo atteggiamento superficiale e indifferente di fronte al
disagio la aiuta a riaprire una alla volta le porte che altrimenti lei avrebbe
chiuso per sempre. E lei salverà lui, riempiendo lentamente di vita il suo animo vuoto. Una storia quella che nasce tra i due che comunque sarebbe stata impossibile se lei
non fosse stata invalida.
Mi soffermo soprattutto su di lei perché
secondo me Marion Cotillard è bellissima e davvero molto brava. Inquieta e
arrogante all’inizio, annichilita dopo l’incidente e molto sola, e poi di nuovo
forte ma con una consapevolezza diversa. Sullo sfondo una Costa Azzurra di cui
vediamo solo il lato oscuro e sporco.
Condivido l’opinione di chi è
rimasto deluso dal finale un po’ lezioso e gratuito (che non svelerò), ma
questo film ha qualcosa di penetrante che mi è rimasto sottopelle, anche grazie
ad uno stile di regia essenziale e virile. Audiard aveva diretto anche Il
Profeta, ottima pellicola che molti hanno preferito a questo Ruggine e Ossa
proprio perché meno melò. Io ve li consiglio entrambi.
Un sapore di Ruggine e Ossa di
Jacques Audiard, Francia Belgio 2012
Con Marion Cotillard, Matthias Schoenaerts
Durata 120’
http://www.youtube.com/watch?v=dn_25R5GL94&feature=related
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