venerdì 2 novembre 2012

Diaz. Don't clean up this blood

E’ un po’ difficile scrivere questo post, non voglio cadere nella polemica politica né sociale. Non perché non ci sia il materiale per farlo, anzi! Ma perché su questo blog vorrei parlare di fatti cinematografici (e di libri e di radio), quindi cercherò di fare una riflessione il più possibile tecnica. Poi se qualcuno vorrà ampliare il discorso si senta libero di farlo, qui o in separata sede.
D’altra parte è proprio quando una pellicola o un libro mi colpiscono che sento il bisogno di scriverne, e questo film l’ha fatto, eccome se l’ha fatto!

Conoscevo già ovviamente i fatti di Genova, ma non avevo mai approfondito l'argomento nel dettaglio. Tra l’altro la sentenza definitiva è stata emessa recentemente quindi sui giornali se n’è parlato di nuovo per qualche giorno. In questo film ci sono le immagini di ciò che è accaduto realmente, di come si sono svolti i fatti  alla scuola Diaz e successivamente alla caserma Bolzaneto. Ecco… ogni parola che scrivo mi sembra in qualche modo una presa di posizione. Si tratta di una trasposizione oggettiva dei fatti o no? Il grado di violenza rappresentato mi ha fatto pensare più volte, strano che non sia morto nessuno! E’ quindi esagerato quello che ho visto? 
Lo stile vuole essere documentaristico ma è evidente da che parte stia il regista. D’altra parte, anche se non tutto fosse completamente vero, c’è stata talmente tanta informazione distorta e manipolata su quello che è successo che anche se i fatti raccontati fossero parziali servirebbero almeno, quanto meno, a riportare la bilancia in equilibrio.
A mio parere la condanna non è tanto nei confronti dei poliziotti, che vengono dipinti quasi come dei non-pensanti, caricati come molle e poi lasciati liberi di reagire abbandonandosi alla violenza cieca (davvero accecati colpiscono senza guardare anche il nonno che si trovava lì evidentemente per caso). La condanna è per chi a chi ha il potere e senza alcuno scrupolo o moto di coscienza tira le fila dei sottoposti burattini. Se vi interessa l’argomento vi consiglio la lettura di ACAB di Carlo Bonini che mette bene in luce il ruolo degli scacchisti e quello delle pedine.

Dicevo comunque che il film ha uno stile marcatamente documentaristico. Gli unici due volti noti sono quelli di Elio Germano, un giornalista che resta intrappolato e viene picchiato nella scuola e Claudio Santamaria, l’unico poliziotto che sembra avere un minimo di coscienza. Ma non emergono, passano quasi inosservati, i protagonisti sono tutti gli sconosciuti partecipanti alle manifestazioni.
La mano del regista si fa sentire anche in fase di montaggio riproponendo la stessa scena in momenti diversi e da diversi punti di vista e svelando così molteplici significati.

Per il resto io sono rimasta ammutolita, anche se normalmente non è il sangue ad impressionarmi. Credo  che la differenza tra un film molto violento di cui poi magari scopro dai titoli di coda che è ispirato a una storia vera e Diaz è il mio approccio che è stato esattamente l’opposto: volevo vedere cos’era successo veramente, e quello che ho visto è stato decisamente molto più sconvolgente di quanto mi aspettassi.
Il pensiero che mi ha accompagnata durante tutta la visione e dopo è stato: ma sono questi gli uomini che dovrebbero proteggerci? E dietro a loro, sono questi i governanti che dovrebbero guidarci? 

Diaz, di Daniele Vicari
Italia, Francia, Romania 2012
Durata 127'

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