Ho appena finito di leggere un
libro delizioso, che mi ha accompagnata con la sua freschezza per ogni sua
pagina. Leggero, nonostante il tema trattato non sia affatto semplice: è la
storia di un ragazzo autistico, o meglio, è il racconto di un viaggio che questo
ragazzo, Andrea, intraprende con suo padre.
La storia è vera, Franco l’ha
raccontata a Fulvio Ervas che a sua volta ha deciso di farne un libro. Padre e
figlio hanno raggiunto la Florida dove hanno noleggiato una moto e hanno attraversato
gli Stati Uniti fino ad arrivare sulla West Coast. Di lì proseguendo per
il Messico, il Guatemala, Belize, e Panama hanno raggiunto la costa
orientale del Brasile. Senza una meta prefissata, liberi, all’avventura. All’avventura
con un figlio autistico, una decisione non facile da prendere, non sapendo se
il ragazzo avrebbe reagito bene o se ci sarebbero stati dei problemi e
ovviamente con tutti che esprimevano i loro dubbi e perplessità sull’opportunità
dell’impresa.
Il tema trattato è molto
delicato, ma anche il libro è delicato. Certo, non mi aspettavo chissà quale capolavoro letterario o un reportage
socio -culturale sui paesi visitati, e in questo senso non ho avuto sorprese.
Ma ancora una volta non è questo il punto. Questo racconto mi ha conquistata
con la sua freschezza, la freschezza e la limpidezza di Andrea che guarda il
mondo da un’angolazione tutta sua, che cerca di essere delicato anche se non ci
riesce sempre con i suoi abbracci ed i suoi baci dati all’improvviso a
chiunque, conosciuti e sconosciuti, con il suo toccare la pancia per capire le
persone. Mi sono immaginata Andrea come un ragazzo dallo sguardo luminoso e
trasparente e mi ha conquistata.
Non mi permetto di fare
considerazioni su questo tipo di problematica perché non la conosco e non vorrei
offendere nessuno, ma ammetto di aver provato quasi invidia per il mondo semplice in
cui vive questo ragazzo, soprattutto se lo confronto con la nostra quotidianità
spesso piena di complicazioni inutili: “I normex, come tutti quelli che vivono
troppo facilmente, non sopportano la diversità […] I normali non riescono ad
apprezzare certi inceppi della vita, hanno cose alte e creative a cui badare:
gli acquisti a rate, una dozzina di conflitti, un paio di bombe sul Giappone,
qualche dozzina di sterminii religiosi … “
Andrea e suo padre parlano
poco perché Andrea parla poco, ma usano un altro linguaggio. Un linguaggio fatto
di sensazioni, di sguardi , di percezioni, un linguaggio molto più profondo e
senza sprechi di parole.
Certo, nel libro sono omessi i
momenti particolarmente difficili che certamente ci saranno stati. Il padre
ogni tanto è stanco, esasperato, Andrea comunque capisce e soffre per la sua condizione,
per la sua incapacità di controllarsi. Non importa se non è stato detto tutto.
Io mi sono piacevolmente commossa e ve lo consiglio, se siete nel momento giusto
per leggere qualcosa di semplice che spero riuscirà ad emozionarvi come ha fatto con me.
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