Questo è un piccolo gioiello
intenso e coinvolgente. Non è un film che mi ha convinta in ogni sua parte ma è
come un fiume lento che porta con sè pensieri e riflessioni, e questa è la
sensazione che mi piace provare quando esco dal cinema.
Il regista, Giorgio Diritti, è
autore anche de L’uomo che verrà, che
ha avuto un buon successo di pubblico, e de Il
vento fa il suo giro, un film potente e intimo che io personalmente ho
preferito. Lo stesso autore, che ho visto recentemente in un’intervista, mi ha
colpita per la riservatezza e la pacatezza con cui ha parlato di questa storia.
E la storia è quella di Augusta,
che dopo aver perso un figlio prima ancora di averlo messo al mondo e dopo
essere stata abbandonata dal marito perché non avrebbe più potuto diventare madre decide di partire per l’Amazzonia alla
ricerca di se stessa e di risposte. Parte al seguito di una suora che viaggia
su una barca lungo il Rio delle Amazzoni per insegnare il cattolicesimo alle
varie comunità indigene che vivono lungo il fiume. Ma i metodi della suora e degli
altri predicatori non convincono la giovane donna, che lascia la barca e la
ricerca spirituale e va a vivere in una favela sulle palafitte di Manaus, per
cercare risposte più concrete. Qui ritrova un po’ di serenità e il sorriso,
cercando di contribuire all’organizzazione del lavoro della comunità e
ricevendo in cambio affetto e calore umano. Ma ad un certo punto un evento traumatico
la spinge di nuovo a partire e a viaggiare ancora lungo il Rio fino ad approdare su una spiaggia
deserta dove resta da sola ad indagare ancora il suo dolore ed il senso della
sua vita.
Parallelamente ci viene
narrata anche la storia della madre che è rimasta in Italia, triste e sola dopo
la partenza della figlia e la recente morte del marito, a prendersi cura della nonna scontrosa e tenace, e che ha
come unico contatto umano quello con alcune monache del vicino convento da
cui è partita la suora a cui si è inizialmente unita Augusta. Un sorriso
comparirà finalmente sul suo volto triste quando arriverà dal Brasile una donna
della favela amica della figlia, anche lei in fuga da un dolore.
E’ un film fatto di poche
parole e di molti silenzi, di sorrisi, di primi piani di occhi neri e volti intensi, di
povertà di mezzi e ricchezza di sentimenti, e di un paesaggio imponente e
silenzioso, fatto di un fiume immenso che respira lentamente, di alberi enormi e
maestosi, di una natura viva accanto a città povere che questa natura la
sporcano e la offendono. E’ un film che dove non usa le parole parla
direttamente al cuore attraverso gli sguardi, i gesti ed i lunghi silenzi, e
che quando parla lo fa principalmente nel portoghese musicale dei brasiliani.
Jasmine Trinca che interpreta
Augusta non è più la ragazzina che aveva iniziato la sua carriera
cinematografica quasi per caso. E’ cresciuta, ha ormai i lineamenti di una donna e ha dato un fondamento al suo
talento.
Uno dei momenti più significativi
di questo film è secondo me la preghiera che l’amica brasiliana di Augusta recita
per un’anziana donna appena morta, ringraziando i suoi occhi per quello che
hanno visto, le sue gambe per dove l’hanno portata, il suo cuore per quanto ha
amato; è la preghiera semplice di una donna povera di mezzi e di cultura, che però
ha un significato più vero e diretto delle preghiere imposte agli indigeni che,
come dice Augusta alla suora, non capiscono le cose che i missionari vogliono
far fare loro.
Avrei anche qualche dubbio e
perplessità tecnica su questo film, ma alla fine è stato un respiro profondo e
una gioia per gli occhi quindi se avrete un po’ di pazienza per ascoltare anche
i lunghi silenzi ve lo consiglio.
Un giorno devi andare, Italia, Francia 2013,
di Giorgio Diritti, con Jasmine Trinca, Anne Alvaro, Pia Engelberth
Durata 110’
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