sabato 29 settembre 2012
martedì 25 settembre 2012
Pordenonelegge 2012
Quest’anno mi sono regalata
due giorni a Pordenonelegge. L’anno scorso uno sciopero dei treni aveva fatto
saltare i piani di noi amiche lettrici, quest’anno mi sono voluta rifare.
Il weekend letterario è
iniziato sabato verso l’ora di pranzo. La città anche quest’anno è stata accogliente
e ha partecipato massicciamente all’evento. I manifesti con l’anatra gialla
mascotte per il 2012 erano ovunque e nelle vetrine in mezzo agli articoli in vendita erano
stati sparsi dei volumi. Ovviamente tutti i negozi del centro sono rimasti
aperti anche la domenica.
Ogni anno la manifestazione si svolge nel
centro storico, gli incontri con gli autori si tengono nelle piazze o in auditorium,
chiostri, ex conventi e teatri più o meno grandi. Quest’anno c’era tantissima gente,
credo molta più di quanto gli organizzatori si aspettassero. Ciò nonostante l’atmosfera
era tranquilla e a misura d’uomo. Non c’è (ancora) l’elettricità dei grandi
eventi mondani, piuttosto il piacere di immergersi per qualche giorno nel clima
letterario. Ovunque però bisognava fare lunghe file per assistere agli incontri
con gli autori. Mediamente per ogni evento ho fatto un’ora di coda. Una coda
ordinata però, composta da gente che leggeva o si scambiava opinioni sugli
incontri seguiti, sicuramente non una ressa informe dove la gente si accalca
e i furbetti tentano di passare avanti.
Devo dire che a questo proposito ho
sentito varie lamentele dei pordenonesi, l’evento sta crescendo di anno in anno
e qualcuno auspica un miglioramento nella gestione dei partecipanti, magari
con l’introduzione di un sistema di prenotazioni. A me comunque è piaciuto anche
così, mentre aspettavo in coda ne ho approfittato per leggere. Domenica mattina
poi sono arrivata presto e mi sono goduta le strade ancora semivuote con i più
mattinieri che scendevano a bere un caffè con i giornali sottobraccio.
Ma veniamo ai contenuti.
Sono riuscita a seguire 5
incontri. Il primo è stato un’intervista con Robin Dunbar su quanti rapporti di
amicizia ognuno di noi riesce a gestire nella vita. Il punto di partenza
ovviamente erano i social network e infatti la sala era piena di giovani,
tuttavia l’argomento Facebook è stato trattato solo marginalmente. Mediamente interessante.
Le due interviste successive decisamente più commerciali, la prima con Massimo Carlotto e la seconda con Camilla Lackberg. In
entrambi i casi il moderatore era Luca Crovi che conduceva una volta Tutti i colori del giallo (ma perché la
Rai ha eliminato questa trasmissione dal suo palinsesto???) Comunque… Carlotto
è un buon oratore che sa come affascinare il pubblico raccontando vari
aneddoti, ma la vera scoperta è stata Camilla Lackberg, giovane, carina e un
vulcano di parole, tra l’altro parlava un inglese invidiabile! Quindi entrambi autori di best seller ma divertenti.
Domenica mattina ho seguito la conversazione tra Valeria Golino e Mauro Covacich. Mauro Covacich ha scritto un libro da cui
Valeria Golino sta traendo un film. L’argomento attuale e spinoso è il suicidio assistito.
L’inizio della conversazione era un po’ ingessato ma pian piano l’atmosfera si
è sciolta e ne è venuta fuori un’oretta piacevole, anche e forse soprattutto grazie al
moderatore Enzo Golino (sì, lo zio di Valeria), un signore un po’ ageé sia come
età che come stile, ma davvero gradevole e di un notevole spessore critico.
L’evento che più mi ha entusiasmata
però è stato l’incontro di Luca Sofri con Alessandro Marzo Magno e Francesco
Anzelmo. Luca Sofri lo conosciamo (ma perché la rai ha eliminato Condor dal suo palinsesto???), Marzo
Magno ha scritto un libro sulla storia dell’editoria e Anzelmo è un editor di
Mondadori. Il tema era il confronto tra l'invenzione della stampa e quella dell’e-book, argomento che mi
affascina molto. Alla fine questo è stato l’intervento che mi ha maggiormente
soddisfatta.
Avrei tanto voluto vedere
Franca Valeri ma la fila era davvero troppo lunga e non sarei riuscita a
prendere posto. Avrei voluto ascoltare anche Paolo Rossi e Pino Roveredo ma ero
stanca di stare in piedi ad aspettare.
Domenica pomeriggio quando
sono uscita dall’ultimo incontro mi ero riservata un’oretta per gironzolare tra
le varie bancarelle. Ogni anno infatti vengono allestiti anche degli spazi dove
è possibile comprare dei libri, oltre alle varie librerie cittadine che mi
sembrava stessero facendo dei buoni affari. Ma a quel punto la città era stata
invasa non più solo dai lettori ma anche dalla gente che ne approfittava del
clima mite e dei negozi aperti. Troppa confusione per riuscire a muoversi,
impensabile pensare di comprare qualcosa. Folla, gomitate, urla e giocolieri…
arrivederci, speriamo, al prossimo anno!
venerdì 21 settembre 2012
... senza Pietà
Il dibattito sul film che ha
vinto la Palma d’Oro alla mostra del cinema di Venezia è stato molto vivace in
questi giorni. Pietà si o Pietà no? Io dico no. Forse avevo sentito troppi
commenti e conoscevo già tutta la trama, resta il fatto che durante la visione
ho provato ben poche emozioni e nessun sussulto, nessuna sorpresa.
Brevemente questa è la trama:
Kang-do lavora per uno strozzino e deve incassare i debiti dei clienti
ritardatari. Per farlo mutila orribilmente le sue vittime in modo da ottenere
il risarcimento per invalidità da parte dell’assicurazione. Un giorno si
presenta da lui una donna che afferma di essere la madre che lo ha abbandonato subito dopo la nascita. Per convincerlo della sua identità accetta le più
impensabili violenze fisiche e morali, e quando finalmente conquista la fiducia
di Kang-do rendendolo più umano e vulnerabile scopriamo che in realtà non è sua
madre, ma la madre di una delle vittime che cerca a sua volta vendetta.
Nonostante il film non mi sia
piaciuto concordo con chi sostiene che lui è un mostro, che la storia è
durissima, che lei è molto brava, che le scene sono brutali pur senza
spargimento di sangue. La crudeltà è estrema, non solo quella del figlio ma
anche quella della madre talmente disperata da mettere in atto lucidamente una vendetta così
atroce. Eppure… oltre ad avere conferma di quanto già mi aspettavo il film non
mi ha dato altro.
Sarà anche che la filmografia
orientale non è tra le mie preferite, tuttavia Kim Ki-duk era l’unico regista
di questo genere che apprezzavo, ma ora si è occidentalizzato un po' troppo. Ferro 3 mi aveva rapita dal primo all’ultimo
fotogramma pur essendo un film in cui nessuno parlava (!) Per non parlare della
poesia di Primavera, estate, autunno, inverno…
e ancora primavera. E poi questo esercizio di stile, questo sfoggio di sé,
questo tentativo di compiacere il pubblico europeo. Il mio scetticismo
deriva certamente anche dalla sensazione di essere considerata uno spettatore facilmente
manipolabile.
Qualcuno dice che la svolta del
regista ha a che fare con la depressione che lo ha colpito negli ultimi anni, e
non stento a crederci. Però ripeto, ho la sensazione che in Occidente Kim
Ki-duk sia ormai diventato un’icona e
che come tale venga osannato qualsiasi cosa faccia. Era quasi ovvio che avrebbe
vinto il massimo premio a Venezia. Forse questa ovvietà lo ha reso meno
interessante ai miei occhi.
A mio parere uno degli
elementi che danno valore ad un film è la capacità di sconvolgere lo
spettatore. (Prendiamo ad esempio Biutiful
di Alejandro González Iñárritu con Javier Bardem che mi ha
lasciata letteralmente senza parole e con una stretta allo stomaco!) I film
solo tecnicamente perfetti mi annoiano. Però ognuno di noi ha un suo percorso
unico e personalissimo, e quello che
lascia indifferente me può risultare sconvolgente per un’altra persona.
Questa è solo la mia personale
opinione, e trovo interessante osservare che il giudizio su quest’opera non sia
affatto unanime. Fortunatamente il cinema non è matematica e almeno in questo
campo non esistono delle opinioni giuste e altre sbagliate, un vero e un falso.
Pietà di Kim Ki-duk, Corea del Sud 2012
Con Lee Jeong-jin e Jo Min-soo
Durata 104’
giovedì 20 settembre 2012
E' stato il figlio
Ecco finalmente un film
originale, sicuramente diverso da tutti quelli che ho visto direi negli ultimi
anni. Dà soddisfazione poter fare
questa constatazione. Tra tutte le polemiche di questi giorni sui film in
concorso a Venezia, Bellocchio si, Pietà no, a mio parere E’ stato il figlio esce vincitore.
Il racconto ha una cornice: in
attesa all’ufficio postale un uomo dallo sguardo alla Forrest Gump inizia a
raccontare agli spettatori la storia della famiglia Ciraulo, Nicola e Loredana
con i figli Tancredi e Serenella, il nonno e la nonna. Sopravvivono in uno
squallidissimo quartiere proletario di Palermo e sbarcano il lunario giorno
dopo giorno senza alcuna prospettiva. Chi è il misterioso narratore verrà
svelato solo alla fine.
Siamo negli anni settanta-ottanta.
Un giorno Serenella viene uccisa per errore in un regolamento di conti. La morte
della bambina è una tragedia ma solo per pochi istanti. Si fa strada infatti la
possibilità di ottenere un risarcimento come vittime di mafia (anche se di
mafia non si tratta). Ai Ciraulo non sembra vero di poter finalmente fare i
signori e perdono letteralmente la testa. Ancora prima di aver incassato il
risarcimento cominciano a farsi fare credito nelle botteghe del circondario, e
devono ben presto affidarsi ad un improbabile strozzino per ripagare i debiti
contratti. Quando finalmente il risarcimento arriva Nicola non resiste e spende
tutto per comprarsi… una Mercedes! status symbol per eccellenza di quel
periodo. Sarà l’inizio della fine.
Meraviglioso, splendido Toni
Servillo nel ruolo di Nicola. Prendete Alex Drastico (ve lo ricordate? il poliziotto siciliano
di Antonio Albanese) e aggiungeteci una buona dose di surrealismo. Occhiali a televisore,
barba sfatta, canottiera lurida e siciliano stretto. Anche solo la sua
camminata è indimenticabile. Quando arrivano “i picciuli” e può comprare la
Mercedes che lo farà diventare il signore del quartiere assume un’espressione
beatamente ebete, perde completamente il senso della misura, esibisce macchina
e famiglia e non manca di farla benedire dal prete. Ovviamente lucida la
macchina in continuazione e la tratta meglio della figlia che ha perso.
Molto brava anche la moglie
Giselda Volodi. Le inquadrature da vicino fanno apparire ancora più
brutto e caricaturale il suo volto allungato ed il nasone. C’è poi Fabrizio Falco
premiato a Venezia con il Premio Mastroianni, già visto in Bella Addormentata
(ma vi siete accorti che anche Piergiorgio Bellocchio faceva parte del cast di
questo film? Era il signore che ascoltava il racconto del narratore alla posta,
seduto alle sue spalle). E infine grandiosa anche la nonna che nel finale
assume saldamente le redini della situazione, ordina e dispone in modo che
tutto si risolva nel modo più conveniente per la famiglia.
I dialoghi sono tutti in siciliano,
sottotitolati dove meno comprensibili, anche se tutto sommato non ce ne sarebbe stato
bisogno, basta aver letto un po’ di Camilleri.
Un ultimo plauso alla colonna
sonora che fa da cornice perfetta alla vicenda. "Impossibile.... come scrivere col gesso sulle nuvole...."
Il film è ambientato a Palermo
ma è stato girato quasi interamente a Brindisi, ed è tratto dal tomanzo omonimo
di Roberto Alajmo.
C’è sicuramente il ricordo dei personaggi che Daniele
Ciprì aveva creato assieme a Franco Maresco in Cinico TV, figure folli e
squallide in una Sicilia desolata. In più il regista ha saputo rappresentare con surreale neorealismo uno dei vizi più odiosi della nostra epoca, la corsa al lusso
e il ricorso al credito fino alla trappola dell’usura.
E’ stato il figlio di Daniele
Ciprì, Italia Francia 2011
Con Toni Servillo, GIselda
Volodi, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi
Durata 90’
giovedì 13 settembre 2012
Bella Addormentata
A me questo film è piaciuto
abbastanza. Lo dico subito perché ho letto tante critiche molto entusiaste e
altre drasticamente contrarie, e quando sono andata a vederlo ero molto
condizionata. La mia opinione non è così definitiva, ci sto pensando e intanto riporto qui le mie impressioni che vorrei
ancora elaborare e discutere su questo sito o a voce o in qualsiasi altro luogo
fisico o virtuale.
Anzitutto, come molti già
sanno, il film non è su Eluana ma ruota attorno alla sua storia, e ci presenta quattro vicende che si
intrecciano tra di loro aventi come tema la vita e il fine vita. O meglio,
riprendendo un commento che mi è
piaciuto molto, quattro modi di reagire al dolore, il sacrificio fatto per
qualcun altro.
La storia che più mi è
piaciuta è quella di Uliano Beffardi (fantastico nome!) senatore del PDL colto
da crisi di coscienza alla vigilia del voto sull’interruzione dell’alimentazione
forzata. Per non votare una legge che va contro la sua coscienza il senatore è
pronto a dare le dimissioni, mentre i suoi compagni di partito, grotteschi
rappresentanti della nostra classe
politica, lo esortano chi ad assumere antidepressivi chi a darsi malato, facendogli
notare che in caso di dimissioni avrebbe perso il diritto alla pensione da
parlamentare. Adoro Toni Servillo che ho trovato anche in questa occasione di un’intensità
ed una bravura indiscutibili, oltre al fatto che in mezzo alla spazzatura politica il ruolo di chi non ci sta e preferisce salvaguardare la propria integrità
morale non può che essere rassicurante.
C’è poi la vicenda parallela
della figlia del senatore, Maria, attivista cattolica che va a manifestare fuori dalla clinica dov’è
ricoverata Eluana e si innamora di un ragazzo che invece sta dall’altra parte della
barricata. Alba Rohrwacher che interpreta la figlia del senatore è forse sempre
uguale a se stessa, mi piacerebbe vederla un giorno interpretare un ruolo un
po’ diverso.
La vicenda della tossica Maya Sansa che tenta due volte il suicidio e viene due volte salvata dal medico (Piergiorgio Bellocchio) è
invece quella che mi ha convinta meno. L’ho trovata un po’ superficiale e irrisolta,
si sarebbe potuta approfondire di più.
Infine c’è la discussa vicenda
dell’attrice (Isabelle Huppert) che vive in casa con la figlia in stato di coma
vegetativo. Ha abbandonato la sua carriera e il resto della sua famiglia per
dedicarsi anima e corpo alla preghiera e
al pentimento nella speranza del miracolo. Molti hanno criticato in particolare
questo episodio e il fatto che la figlia sia interpretata da una bellissima
modella, scelta giudicata poco verosimile e offensiva. A mio parere non si
tratta di una svista né di una leggerezza. In una casa che sembra un castello
incantato sempre piena di fiori freschi, con una madre sempre impeccabile che
recita il rosario su e giù per il corridoio con i tacchi alti dalla mattina
alla sera a capo di una squadra di suore , in un mondo così finto e artefatto mi sembra coerente che anche la fanciulla
non abbia mai un capello fuori posto. L’episodio infatti rappresenta a mio parere la fede come
eccesso, il sacrificio come egoismo.
Il film non ha vinto alcun
premio al festival del cinema di Venezia e ciò ha scatenato le reazioni dei
suoi sostenitori più entusiasti. Non
avendo visto le altre pellicole in concorso non mi è possibile fare dei
paragoni, ma certamente è vero che il film di Bellocchio è molto italiano, nel
senso che contiene tanti riferimenti alla nostra realtà particolare che potrebbero
risultare incomprensibili ad un pubblico digiuno dei fatti di casa nostra.
Non ho dubbi sul fatto che prossimamente Bellocchio e il suo film verranno premiati con qualche David
di Donatello o Nastro D’Argento.
Per quanto riguarda il paragone con un altro
film che ha come tema centrale quello dell’eutanasia, il bellissimo Il Mare
Dentro di Alejandro Amenabar, credo che non sia utile stabilire quale
delle due sia la pellicola migliore, perché si tratta semplicemente di due
prodotti diversi per stile, approccio, messaggio.
Credo anch’io che Bellocchio
sia stato più incisivo in altre occasioni come ad esempio nell’Ora di Religione, mentre in
questa sua ultima fatica sembra quasi che non abbia il coraggio di prendere una
posizione decisa causando quindi lo scontento di una parte del pubblico.
Il senso del film non credo
sia stabilire qual'è la decisione giusta da prendere in certi casi
delicatissimi. E’ fondamentale però tenere
vivo il dibattito su questo argomento
che dopo le discussioni accese di
quattro anni fa è un po’ caduto nel dimenticatoio. Ognuno dovrebbe essere libero di scegliere se riempirsi la casa
di rose.
Bella Addormentata, di Marco Bellocchio, Italia Francia 2012,
Con Toni Servillo, Alba Rohrwacher, Piergiorgo Bellocchio, Maja Sansa, Isabelle Huppert, Michele Riondino
Durata 115'
Con Toni Servillo, Alba Rohrwacher, Piergiorgo Bellocchio, Maja Sansa, Isabelle Huppert, Michele Riondino
Durata 115'
giovedì 6 settembre 2012
I libri dei coniugi Pease
Mumble mumble… vi consiglio
questo libro o no? Ho questo dubbio perché è una pubblicazione di quelle che
avrei snobbato in libreria o peggio al supermercato, sapete quei titoli “10 regole per essere felici…” orrore! Ma
visto che mi è stato suggerito da una persona di fiducia… mi sono fidata. E
devo dire che mi sono divertita molto!
I coniugi australiani Barbara
e Allan Pease sono due psicoterapeuti ed esperti in comunicazione che hanno pubblicato
una serie libri sulle relazioni di coppia. Hanno cercato di analizzare i
meccanismi che regolano i rapporti tra uomini e donne partendo da situazioni
reali molto tipiche e lavorando su basi scientifiche come le differenze fisiologiche
tra maschi e femmine, le mutazioni antropologiche e l’evoluzione dei ruoli e
dei comportamenti avvenute nel corso degli anni. Le loro considerazioni partono
quindi da un fondamento empirico, e questo secondo me dà credibilità alla loro
ricerca.
Non è affatto un libro banale,
anche se le tesi vengono presentate con uno stile molto ironico e spesso
pungente. Detto tra noi, secondo me Barbara ha rubato qualche pagina al marito perché
più di una volta ho avuto l’impressione che il punto di vista prevalente fosse
quello femminile, come quando scrive “Se l’automobile emette un rumore strano,
lui aprirà sempre il cofano per dare un’occhiata, malgrado non abbia la minima
idea di dove cercare. Spera sempre di vedere qualcosa di ovvio, come un armadillo
gigante che gli rosicchia il carburatore”. Ma chissà, magari mi sbaglio e un
lettore uomo può aver avuto l’impressione contraria!
Comunque, su certe cose siamo
tutti d’accordo: sappiamo che le donne riescono a fare più cose contemporaneamente
mentre gli uomini no, ma sapevamo anche che questo dipende dal fatto che il
cervello è diviso in più aree e in quello delle donne c’è un maggior numero di connessioni tra uno scomparto e l’altro?
Oppure sapevamo che nel cervello delle donne l’area riservata al linguaggio è
più ampia che in quello degli uomini e quindi noi parliamo e parliamo e
parliamo mentre loro non sentono il bisogno di raccontarci niente?
Ogni volta che ascolto qualche
spettacolo di cabaret mi rendo conto che gli uomini e donne si accusano a
vicenda sempre delle le stesse cose. Recentemente poi mi è capitato di ascoltare una
conversazione tra due mariti che si lamentavano delle loro mogli . Li ho
ascoltati intenzionalmente perché ero curiosa di sentire la versione maschile
di considerazioni che ho sentito fare tantissime volte dalle donne. Anzi, non ho dubbi sul fatto che probabilmente le rispettive fossero da qualche parte a lamentarsi di loro. Ma che
tristezza, ho pensato, siamo proprio tutti uguali e ci lasciamo ingrigire le
giornate da queste comuni piccolezze.
Ecco, diciamo che questo volume
è un piccolo libretto di istruzioni. Se impariamo a conoscere come sono
costruiti e a cosa servono gli ingranaggi dovremmo essere in grado di far funzionare l’apparecchio.
Detto in altri termini, accettando le
differenze semplicemente come tali e mettendo in atto delle piccole
strategie dovremmo riuscire a convivere armoniosamente e usare le energie recuperate
per attività più piacevoli e fruttuose. Teoricamente.
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