martedì 25 settembre 2012

Pordenonelegge 2012


Quest’anno mi sono regalata due giorni a Pordenonelegge. L’anno scorso uno sciopero dei treni aveva fatto saltare i piani di noi amiche lettrici, quest’anno mi sono voluta rifare.

Il weekend letterario è iniziato sabato verso l’ora di pranzo. La città anche quest’anno è stata accogliente e ha partecipato massicciamente all’evento. I manifesti con l’anatra gialla mascotte per il 2012 erano ovunque e nelle vetrine in mezzo agli articoli in vendita erano stati sparsi dei volumi. Ovviamente tutti i negozi del centro sono rimasti aperti anche la domenica.

Ogni anno la manifestazione si svolge nel centro storico, gli incontri con gli autori si tengono nelle piazze o in auditorium, chiostri, ex conventi e teatri più o meno grandi. Quest’anno c’era tantissima gente, credo molta più di quanto gli organizzatori si aspettassero. Ciò nonostante l’atmosfera era tranquilla e a misura d’uomo. Non c’è (ancora) l’elettricità dei grandi eventi mondani, piuttosto il piacere di immergersi per qualche giorno nel clima letterario. Ovunque però bisognava fare lunghe file per assistere agli incontri con gli autori. Mediamente per ogni evento ho fatto un’ora di coda. Una coda ordinata però, composta da gente che leggeva o si scambiava opinioni sugli incontri seguiti, sicuramente non una ressa informe dove la gente si accalca e i furbetti tentano di passare avanti. 
Devo dire che a questo proposito ho sentito varie lamentele dei pordenonesi, l’evento sta crescendo di anno in anno e qualcuno auspica un miglioramento nella gestione dei partecipanti, magari con l’introduzione di un sistema di prenotazioni. A me comunque è piaciuto anche così, mentre aspettavo in coda ne ho approfittato per leggere. Domenica mattina poi sono arrivata presto e mi sono goduta  le strade ancora semivuote con i più mattinieri che scendevano a bere un caffè con i giornali sottobraccio.

Ma veniamo ai contenuti.
Sono riuscita a seguire 5 incontri. Il primo è stato un’intervista con Robin Dunbar su quanti rapporti di amicizia ognuno di noi riesce a gestire nella vita. Il punto di partenza ovviamente erano i social network e infatti la sala era piena di giovani, tuttavia l’argomento Facebook è stato trattato solo marginalmente. Mediamente interessante.

Le due interviste successive decisamente più commerciali, la prima con Massimo Carlotto e la seconda con Camilla Lackberg. In entrambi i casi il moderatore era Luca Crovi che conduceva una volta Tutti i colori del giallo (ma perché la Rai ha eliminato questa trasmissione dal suo palinsesto???) Comunque… Carlotto è un buon oratore che sa come affascinare il pubblico raccontando vari aneddoti, ma la vera scoperta è stata Camilla Lackberg, giovane, carina e un vulcano di parole, tra l’altro parlava un inglese invidiabile! Quindi entrambi autori di best seller ma divertenti.

Domenica mattina ho seguito la conversazione tra Valeria Golino e Mauro Covacich. Mauro Covacich ha scritto un libro da cui Valeria Golino sta traendo un film. L’argomento attuale e spinoso è il suicidio assistito. L’inizio della conversazione era un po’ ingessato ma pian piano l’atmosfera si è sciolta e ne è venuta fuori un’oretta piacevole, anche e forse soprattutto grazie al moderatore Enzo Golino (sì, lo zio di Valeria), un signore un po’ ageé sia come età che come stile, ma davvero gradevole e di un notevole spessore critico.

L’evento che più mi ha entusiasmata però è stato l’incontro di Luca Sofri con Alessandro Marzo Magno e Francesco Anzelmo. Luca Sofri lo conosciamo (ma perché la rai ha eliminato Condor dal suo palinsesto???), Marzo Magno ha scritto un libro sulla storia dell’editoria e Anzelmo è un editor di Mondadori. Il tema era il confronto tra l'invenzione della stampa e quella dell’e-book, argomento che mi affascina molto. Alla fine questo è stato l’intervento che mi ha maggiormente soddisfatta.

Avrei tanto voluto vedere Franca Valeri ma la fila era davvero troppo lunga e non sarei riuscita a prendere posto. Avrei voluto ascoltare anche Paolo Rossi e Pino Roveredo ma ero stanca di stare in piedi ad aspettare.

Domenica pomeriggio quando sono uscita dall’ultimo incontro mi ero riservata un’oretta per gironzolare tra le varie bancarelle. Ogni anno infatti vengono allestiti anche degli spazi dove è possibile comprare dei libri, oltre alle varie librerie cittadine che mi sembrava stessero facendo dei buoni affari. Ma a quel punto la città era stata invasa non più solo dai lettori ma anche dalla gente che ne approfittava del clima mite e dei negozi aperti. Troppa confusione per riuscire a muoversi, impensabile pensare di comprare qualcosa. Folla, gomitate, urla e giocolieri… arrivederci, speriamo, al prossimo anno!

venerdì 21 settembre 2012

... senza Pietà


Il dibattito sul film che ha vinto la Palma d’Oro alla mostra del cinema di Venezia è stato molto vivace in questi giorni. Pietà si o Pietà no? Io dico no. Forse avevo sentito troppi commenti e conoscevo già tutta la trama, resta il fatto che durante la visione ho provato ben poche emozioni e nessun sussulto, nessuna sorpresa.

Brevemente questa è la trama: Kang-do lavora per uno strozzino e deve incassare i debiti dei clienti ritardatari. Per farlo mutila orribilmente le sue vittime in modo da ottenere il risarcimento per invalidità da parte dell’assicurazione. Un giorno si presenta da lui una donna che afferma di essere la madre che lo ha abbandonato subito dopo la nascita. Per convincerlo della sua identità accetta le più impensabili violenze fisiche e morali, e quando finalmente conquista la fiducia di Kang-do  rendendolo  più umano e vulnerabile scopriamo che in realtà non è sua madre, ma la madre di una delle vittime che cerca a sua volta vendetta.

Nonostante il film non mi sia piaciuto concordo con chi sostiene che lui è un mostro, che la storia è durissima, che lei è molto brava, che le scene sono brutali pur senza spargimento di sangue. La crudeltà è estrema, non solo quella del figlio ma anche quella della madre talmente disperata da mettere in atto lucidamente una vendetta così atroce. Eppure… oltre ad avere conferma di quanto già mi aspettavo il film non mi ha dato altro. 

Sarà anche che la filmografia orientale non è tra le mie preferite, tuttavia Kim Ki-duk era l’unico regista di questo genere che apprezzavo, ma ora si è occidentalizzato un po' troppo. Ferro 3 mi aveva rapita dal primo all’ultimo fotogramma pur essendo un film in cui nessuno parlava (!) Per non parlare della poesia di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. E poi questo esercizio di stile, questo sfoggio di sé, questo tentativo di compiacere il pubblico europeo. Il mio scetticismo deriva certamente anche dalla sensazione di essere  considerata uno spettatore facilmente manipolabile.
Qualcuno dice che la svolta del regista ha a che fare con la depressione che lo ha colpito negli ultimi anni, e non stento a crederci. Però ripeto, ho la sensazione che in Occidente Kim Ki-duk  sia ormai diventato un’icona e che come tale venga osannato qualsiasi cosa faccia. Era quasi ovvio che avrebbe vinto il massimo premio a Venezia. Forse questa ovvietà lo ha reso meno interessante ai miei occhi.

A mio parere uno degli elementi che danno valore ad un film è la capacità di sconvolgere lo spettatore. (Prendiamo ad esempio Biutiful di Alejandro González Iñárritu con Javier Bardem che mi ha lasciata letteralmente senza parole e con una stretta allo stomaco!) I film solo tecnicamente perfetti mi annoiano. Però ognuno di noi ha un suo percorso unico e personalissimo, e quello che lascia indifferente me può risultare sconvolgente per un’altra persona.
Questa è solo la mia personale opinione, e trovo interessante osservare che il giudizio su quest’opera non sia affatto unanime. Fortunatamente il cinema non è matematica e almeno in questo campo non esistono delle opinioni giuste e altre sbagliate, un vero e un falso.

Pietà di Kim Ki-duk, Corea del Sud 2012
Con Lee Jeong-jin e Jo Min-soo
Durata 104’

giovedì 20 settembre 2012

E' stato il figlio


Ecco finalmente un film originale, sicuramente diverso da tutti quelli che ho visto direi negli ultimi anni. Dà  soddisfazione  poter  fare questa constatazione. Tra tutte le polemiche di questi giorni sui film in concorso a Venezia, Bellocchio si, Pietà no, a mio parere E’ stato il figlio esce vincitore.

Il racconto ha una cornice: in attesa all’ufficio postale un uomo dallo sguardo alla Forrest Gump inizia a raccontare agli spettatori la storia della famiglia Ciraulo, Nicola e Loredana con i figli Tancredi e Serenella, il nonno e la nonna. Sopravvivono in uno squallidissimo quartiere proletario di Palermo e sbarcano il lunario giorno dopo giorno senza alcuna prospettiva. Chi è il misterioso narratore verrà svelato solo alla fine.
Siamo negli anni settanta-ottanta. Un giorno Serenella viene uccisa per errore in un regolamento di conti. La morte della bambina è una tragedia ma solo per pochi istanti. Si fa strada infatti la possibilità di ottenere un risarcimento come vittime di mafia (anche se di mafia non si tratta). Ai Ciraulo non sembra vero di poter finalmente fare i signori e perdono letteralmente la testa. Ancora prima di aver incassato il risarcimento cominciano a farsi fare credito nelle botteghe del circondario, e devono ben presto affidarsi ad un improbabile strozzino per ripagare i debiti contratti. Quando finalmente il risarcimento arriva Nicola non resiste e spende tutto per comprarsi… una Mercedes! status symbol per eccellenza di quel periodo. Sarà l’inizio della fine.

Meraviglioso, splendido Toni Servillo nel ruolo di Nicola. Prendete Alex Drastico (ve lo ricordate? il poliziotto siciliano di Antonio Albanese) e aggiungeteci una buona dose di surrealismo. Occhiali a televisore, barba sfatta, canottiera lurida e siciliano stretto. Anche solo la sua camminata è indimenticabile. Quando arrivano “i picciuli” e può comprare la Mercedes che lo farà diventare il signore del quartiere assume un’espressione beatamente ebete, perde completamente il senso della misura, esibisce macchina e famiglia e non manca di farla benedire dal prete. Ovviamente lucida la macchina in continuazione e la tratta meglio della figlia che ha perso.
Molto brava anche la moglie Giselda Volodi. Le inquadrature da vicino fanno apparire ancora più brutto e caricaturale il suo volto allungato ed il nasone. C’è poi Fabrizio Falco premiato a Venezia con il Premio Mastroianni, già visto in Bella Addormentata (ma vi siete accorti che anche Piergiorgio Bellocchio faceva parte del cast di questo film? Era il signore che ascoltava il racconto del narratore alla posta, seduto alle sue spalle). E infine grandiosa anche la nonna che nel finale assume saldamente le redini della situazione, ordina e dispone in modo che tutto si risolva nel modo più conveniente per la famiglia.
I dialoghi sono tutti in siciliano, sottotitolati dove meno comprensibili, anche se tutto sommato non ce ne sarebbe stato bisogno, basta aver letto un po’ di Camilleri.
Un ultimo plauso alla colonna sonora che fa da cornice perfetta alla vicenda. "Impossibile.... come scrivere col gesso sulle nuvole...."

Il film è ambientato a Palermo ma è stato girato quasi interamente a Brindisi, ed è tratto dal tomanzo omonimo di Roberto Alajmo.

C’è sicuramente il ricordo dei  personaggi che Daniele Ciprì aveva creato assieme a Franco Maresco in Cinico TV, figure folli e squallide in una Sicilia desolata. In più il regista ha saputo rappresentare con surreale neorealismo uno dei vizi più odiosi della nostra epoca, la corsa al lusso e il ricorso al credito fino alla trappola dell’usura. 


E’ stato il figlio di Daniele Ciprì, Italia Francia 2011
Con Toni Servillo, GIselda Volodi, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi
Durata 90’

giovedì 13 settembre 2012

Bella Addormentata


A me questo film è piaciuto abbastanza. Lo dico subito perché ho letto tante critiche molto entusiaste e altre drasticamente contrarie, e quando sono andata a vederlo ero molto condizionata.  La mia opinione non è così definitiva, ci sto pensando e intanto riporto qui le mie impressioni che vorrei ancora elaborare e discutere su questo sito o a voce o in qualsiasi altro luogo fisico o virtuale.

Anzitutto, come molti già sanno, il film non è su Eluana ma ruota attorno alla sua storia,  e ci presenta quattro vicende che si intrecciano tra di loro aventi come tema la vita e il fine vita. O meglio, riprendendo  un commento che mi è piaciuto molto, quattro modi di reagire al dolore, il sacrificio fatto per qualcun altro.

La storia che più mi è piaciuta è quella di Uliano Beffardi (fantastico nome!) senatore del PDL colto da crisi di coscienza alla vigilia del voto sull’interruzione dell’alimentazione forzata. Per non votare una legge che va contro la sua coscienza il senatore è pronto a dare le dimissioni, mentre i suoi compagni di partito, grotteschi rappresentanti  della nostra classe politica, lo esortano chi ad assumere antidepressivi chi a darsi malato, facendogli notare che in caso di dimissioni avrebbe perso il diritto alla pensione da parlamentare. Adoro Toni Servillo che ho trovato anche in questa occasione di un’intensità ed una bravura indiscutibili, oltre al fatto che in mezzo alla spazzatura politica il ruolo di chi non ci sta e preferisce salvaguardare la propria integrità morale non può che essere rassicurante.
C’è poi la vicenda parallela della figlia del senatore, Maria, attivista cattolica  che va a manifestare fuori dalla clinica dov’è ricoverata Eluana e si innamora di un ragazzo che invece sta dall’altra parte della barricata. Alba Rohrwacher che interpreta la figlia del senatore è forse sempre uguale a se stessa, mi piacerebbe vederla un giorno interpretare un ruolo un po’ diverso.
La vicenda della tossica Maya Sansa che tenta due volte il suicidio e viene due volte  salvata dal medico (Piergiorgio Bellocchio) è invece quella che mi ha convinta meno. L’ho trovata un po’ superficiale e irrisolta, si sarebbe potuta approfondire di più.
Infine c’è la discussa vicenda dell’attrice (Isabelle Huppert) che vive in casa con la figlia in stato di coma vegetativo. Ha abbandonato la sua carriera e il resto della sua famiglia per dedicarsi  anima e corpo alla preghiera e al pentimento nella speranza del miracolo. Molti hanno criticato in particolare questo episodio e il fatto che la figlia sia interpretata da una bellissima modella, scelta giudicata poco verosimile e offensiva. A mio parere non si tratta di una svista né di una leggerezza. In una casa che sembra un castello incantato sempre piena di fiori freschi, con una madre sempre impeccabile che recita il rosario su e giù per il corridoio con i tacchi alti dalla mattina alla sera a capo di una squadra di suore , in un mondo così finto e artefatto mi sembra coerente che anche la fanciulla non abbia mai un capello fuori posto. L’episodio infatti rappresenta a mio parere la fede come eccesso, il sacrificio come egoismo.

Il film non ha vinto alcun premio al festival del cinema di Venezia e ciò ha scatenato le reazioni dei suoi sostenitori più entusiasti.  Non avendo visto le altre pellicole in concorso non mi è possibile fare dei paragoni, ma certamente è vero che il film di Bellocchio è molto italiano, nel senso che contiene tanti riferimenti alla nostra realtà particolare che potrebbero risultare incomprensibili ad un pubblico digiuno dei fatti di casa nostra. Non ho dubbi sul fatto che prossimamente Bellocchio e il suo film verranno premiati con qualche David di Donatello o Nastro D’Argento. 
Per quanto riguarda il paragone con un altro film che ha come tema centrale quello dell’eutanasia, il bellissimo Il Mare Dentro di Alejandro Amenabar, credo che non sia utile stabilire quale delle due sia la pellicola migliore, perché si tratta semplicemente di due prodotti diversi per stile, approccio, messaggio. 
Credo anch’io che Bellocchio sia stato più incisivo in altre occasioni come  ad esempio nell’Ora di Religione, mentre in questa sua ultima fatica sembra quasi che non abbia il coraggio di prendere una posizione decisa causando quindi lo scontento di una parte del pubblico.

Il senso del film non credo sia stabilire qual'è la decisione giusta da prendere in certi casi delicatissimi.   E’ fondamentale però tenere vivo il dibattito  su questo argomento che dopo le discussioni accese  di quattro anni fa è un po’ caduto nel dimenticatoio. Ognuno dovrebbe essere libero di scegliere se riempirsi la casa di rose.

Bella Addormentata, di Marco Bellocchio, Italia Francia 2012,
Con Toni Servillo, Alba Rohrwacher, Piergiorgo Bellocchio, Maja Sansa, Isabelle Huppert, Michele Riondino
Durata 115'

giovedì 6 settembre 2012

I libri dei coniugi Pease


Mumble mumble… vi consiglio questo libro o no? Ho questo dubbio perché è una pubblicazione di quelle che avrei snobbato in libreria o peggio al supermercato, sapete quei titoli  “10 regole per essere felici…” orrore! Ma visto che mi è stato suggerito da una persona di fiducia… mi sono fidata. E devo dire che mi sono divertita molto!

I coniugi australiani Barbara e Allan Pease sono due psicoterapeuti ed esperti in comunicazione che hanno pubblicato una serie libri sulle relazioni di coppia. Hanno cercato di analizzare i meccanismi che regolano i rapporti tra uomini e donne partendo da situazioni reali molto tipiche e lavorando su basi scientifiche come le differenze fisiologiche tra maschi e femmine, le mutazioni antropologiche e l’evoluzione dei ruoli e dei comportamenti avvenute nel corso degli anni. Le loro considerazioni partono quindi da un fondamento empirico, e questo secondo me dà credibilità alla loro ricerca.
Non è affatto un libro banale, anche se le tesi vengono presentate con uno stile molto ironico e spesso pungente. Detto tra noi, secondo me Barbara ha rubato qualche pagina al marito perché più di una volta ho avuto l’impressione che il punto di vista prevalente fosse quello femminile, come quando scrive “Se l’automobile emette un rumore strano, lui aprirà sempre il cofano per dare un’occhiata, malgrado non abbia la minima idea di dove cercare. Spera sempre di vedere qualcosa di ovvio, come un armadillo gigante che gli rosicchia il carburatore”. Ma chissà, magari mi sbaglio e un lettore uomo può aver avuto l’impressione contraria!

Comunque, su certe cose siamo tutti d’accordo: sappiamo che le donne riescono a fare più cose contemporaneamente mentre gli uomini no, ma sapevamo anche che questo dipende dal fatto che il cervello è diviso in più aree e in quello delle donne c’è un maggior numero di  connessioni tra uno scomparto e l’altro? Oppure sapevamo che nel cervello delle donne l’area riservata al linguaggio è più ampia che in quello degli uomini e quindi noi parliamo e parliamo e parliamo mentre loro non sentono il bisogno di raccontarci niente? 
 Ogni volta che ascolto qualche spettacolo di cabaret mi rendo conto che gli uomini e donne si accusano a vicenda sempre delle le stesse cose. Recentemente poi mi è capitato di ascoltare una conversazione tra due mariti che si lamentavano delle loro mogli . Li ho ascoltati intenzionalmente perché ero curiosa di sentire la versione maschile di considerazioni che ho sentito fare tantissime volte dalle donne. Anzi, non ho dubbi sul fatto che probabilmente le rispettive fossero da qualche parte a lamentarsi di loro. Ma che tristezza, ho pensato, siamo proprio tutti uguali e ci lasciamo ingrigire le giornate da queste comuni piccolezze.

Ecco, diciamo che questo volume è un piccolo libretto di istruzioni. Se impariamo a conoscere come sono costruiti e a cosa servono gli ingranaggi  dovremmo essere in grado di far funzionare l’apparecchio.  Detto in altri termini, accettando le differenze semplicemente come tali e mettendo in atto delle piccole strategie dovremmo riuscire a convivere armoniosamente e usare le energie recuperate per attività più piacevoli e fruttuose. Teoricamente.