Se dovessi definire questo
film con un solo aggettivo direi elegante. Una pellicola raffinata che ci
mostra un mondo pieno di oggetti a di lusso, dove i protagonisti maneggiano
opere d’arte a sei zeri, indossano abiti di sartoria e regalano anelli il cui prezzo non è esposto in vetrina. La trama del giallo
invece a mio parere lascia un po’ a desiderare. Perché di un giallo si tratta,
anche se durante la visione del film ad un certo punto me n’ero dimenticata,
avendo tuttavia la persistente
sensazione che qualcosa sarebbe successo, che non ci sarebbe stato quel lieto
fine. Forse a causa di una trama troppo pensata il thriller perde la sua efficacia.
Non posso ovviamente svelare
tutta la trama altrimenti rovinerei la sorpresa a chi ancora non l’ha visto, ma
per chi non lo sapesse la storia si svolge nell’ambiente particolare e poco
noto dell’antiquariato e delle aste. Virgil Oldman è appunto un sessantenne battitore
d’asta molto famoso nel suo campo e di indubbia e rigorosa professionalità, che
usa però come scudo per difendersi dalle emozioni. Come metafora della sua
difesa indossa sempre un paio di guanti per evitare il contatto con la gente e
con quello che la gente tocca. Non ha
una donna e probabilmente non ne ha mai avuta una, non per misoginia ma per
poca confidenza con i sentimenti. Nella sua casa-museo però c’è una stanza
segreta vuota le cui pareti sono completamente ricoperte da preziosi ritratti
di donna di tutte le epoche. Lui si siede al centro della stanza, le guarda e
si fa guardare. Loro sono l’unica cosa che lo emoziona.
La routine di Mr. Oldman viene
turbata quando un giorno viene contattato da Claire, una giovane ereditiera
che gli affida l’incarico di inventariare e vendere all’asta tutte le opere d’arte
contenute nella villa dei genitori morti da poco. Anche la signorina Claire
Ibetson ha la sua difesa: a causa di una grave forma di agorafobia vive chiusa
nella villa e non si lascia vedere da nessuno, comunica con Mister Oldman al
telefono o attraverso la parete di una stanza della casa.
Da qui si sviluppa la
storia.
Parte del mio interesse per
questo film è dato sicuramente dal fatto che alcune scene sono state girate a
Trieste, anche se in realtà solo qualche scorcio è riconoscibile e sovrapposto
alle altre città che hanno prestato le loro piazze, Vienna e Praga tra tutte. Siamo
comunque in un luogo indefinito di stampo mitteleuropeo. Una curiosità per gli amici triestini che
prendo da Wikipedia: “La villa Colloredo Mels Mainardi, residenza di Claire
nella pellicola, è situata a Gorizzo di Camino al Tagliamento, in
provincia di Udine.
Il bar antistante – allestito per il film in una casa disabitata e poi
smantellato – si trova invece, nella realtà, non di fronte alla villa bensì a
Trieste. La villa e la parte esterna al cancello d'ingresso (dove è
identificabile anche la chiesa luterana del capoluogo giuliano) sono
giustapposti con la tecnica del blue screen,
in modo da dare l'impressione che si trovino nello stesso luogo."
L’indiscusso protagonista del film è Geoffrey Rush, magistrale
nel ruolo dell’elegante algido e distaccato battitore d’aste che lentamente
apre la porta al sentimento lasciandosi spettinare, salvo poi pagare
lo scotto soprattutto dell’inesperienza e dell’ingenuità di chi ha poca dimestichezza
con le imprevedibilità del cuore. Tanto maniacale nella sua professionalità
quanto umano nel rendere la sua ingenuità
e la sua sofferenza.
Vicino a lui altri attori non
degni di particolare nota, eccezion fatta per Donald Sutherland che è Billy, suo unico amico, socio e complice.
Tutto sommato questo film
potrebbe piacere ad un ampio spettro di
pubblico, dagli amanti del giallo e non necessariamente del cinema d’essai - che
si godranno la visione di un film raffinato e diverso dai soliti infarciti di clamorosi
colpi di scena, delitti e sangue - a chi viceversa ricerca soprattutto il cinema d’autore, che si godrà una storia lussuosa e raffinata, magari anche
a scapito di una trama non proprio originalissima. Un film forse troppo
manierato ma comunque intrigante.
La Migliore Offerta di G.Tornatore, Italia, 2013
Con Geoffrey Rush,
Donald Sutherland, Jim Sturgess, Sylvia Hoeks
Durata 124’
1 commento:
A me invece questo film mi ha letteralmente scombussolata perchè tratta un tema per niente scontato, e forse non immediatamente percettibile. Il tema è quello del rapporto tra vero e falso, esemplarmente riassunto nella battuta dove si dice: ogni falso - riferito all'opera d'arte- contiene una parte autentica, poichè nemmeno il migliore dei falsari può rinunciare alla tentazione di lasciare traccia di sè, per antonomasia la sola parte genuina dell'opera. E questo vale anche per gli esseri umani, e gli stessi protagonisti, attraverso l'amaro epilogo, ne diventano l'emblema. Tutto diventa un gioco di forze tra vero e finto, tra autenticità e falsità. E il protagonista rimane impigliato nella rete dell'ipocrisia non perchè abbia poca esperienza (succede con la donna di cui si innamora, ma anche con l'amico falsario e il confidente aggiustatutto). No, non è dell'inesperienza di cui paga lo scotto, ma della volontà e capacità di mettersi in gioco, di rischiare di perdere tutto per accogliere l'amore, l'amicizia, la complicità di un'altra vita nella propria. Sublime rischio.
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