martedì 29 gennaio 2013

Django Unchained


Si certo, bello ovviamente …. ma….. c’è un ma da qualche parte. Divertente, esagerato come sempre, beffardo e blasfemo della vita, totalmente tarantiniano, però io da metà film in poi ho iniziato ad annoiarmi. Un po’.  Il problema è che da lui non me lo aspetto. Mi aspetto una genialata, oppure un fiasco. Ma la noia no.

Ci sono tutti gli elementi noti del cinema di Tarantino, dicevo, in questo Django Unchained. Una colonna sonora stuperfacente, canzoni che si interrompono di colpo, zoomate velocissime sui volti dei personaggi, dialoghi incalzanti, surreali schizzi di sangue su petali bianchi, tanti spari e morti esagerate, poche figure femminili importanti questa volta e trovate geniali, come una molla gigante che fa oscillare un molare gigante sopra al tetto del carro del dentista. Come Candieland, il ranch del più cattivo latifondista del paese, Mr Calvin Candie appunto. Poi  nomi ridondanti come Big Daddy, Lara Lee Candie-Fitzwilly, Big John Brittle.  L’esilarante scena degli incappucciati del Ku-Klux-Klan che sono in difficoltà perché i loro cappucci sono cuciti male e non vedono dove vanno… 

Ma in questo film c’è anche di più. Finalmente Tarantino è riuscito a realizzare il suo western, un progetto che ha a lungo accarezzato. E ci ha messo dentro un elenco lunghissimo di citazioni dai western anni sessanta a cui si è ispirato. La principale fonte è Django del regista romano Sergio Corbucci che uscì nel 1966. Nel film di Corbucci il protagonista Django era interpretato da Franco Nero, che ha un piccolo cameo anche in questo film di Tarantino.
Le citazioni sono anche di film non propriamente western, come quella del cavallo del dottor Schultz che nitrisce ogni volta che il dottore lo presenta, come in Frankenstein Junior  ogni volta che Frau Blücher veniva nominata si udivano dei nitriti in lontananza.
Infine in Django Unchained ci sono anche molte autocitazioni di film precedenti, espediente che il regista ha usato praticamente in ogni sua pellicola. Ad esempio quando gli uomini di Candie entrano in casa dal piano superiore prima che Django venga catturato così come gli “88 folli” erano entrati nella "Casa delle foglie blu" in Kill Bill Vol. 1 .

Personalmente ho trovato molto convincente la prima parte del film e soprattutto il personaggio del dottor Schultz. Bravissimo e davvero  interessante Christoph Waltz, da seguire ancora. Il volto perfetto per il personaggio che interpreta, il più riuscito a mio parere. Il dottor Schultz insegnerà allo schiavo liberato Django non solo a maneggiare la pistola ma anche l’arte della persuasione. A lui dò il massimo voto. 
Chi invece non mi ha convinto è Leonardo Di Caprio, che è indubbiamente molto bravo ma mi ha dato l’impressione di non essersi esattamente identificato nel personaggio che interpreta e mi è sembrato meno convincente e un po’ noioso.
Da sottolineare invece come nota di colore la sorella di Mr. Candie: perfetta oca dotata di un’unica espressione, un sorriso ebete perennemente stampato sul volto e una totale adesione acritica a tutti i diktat del fratello.

Tarantino deve essersi divertito un mondo a girare questo film, a giocare con le citazioni di tutte le sue pellicole preferite e a contemplare se stesso. Forse però sarebbe ora di inventare qualcosa di nuovo altrimenti c’è il rischio di cominciare ad annoiarsi.
  

Django Unchained, USA 2012
Di Quentin Tarantino, con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo Di Caprio, Samuel L. Jackson
Durata 165’

martedì 22 gennaio 2013

Il tempo è un bastardo



Piccolo commento su un libro curioso che si legge abbastanza velocemente, senza annoiarsi ma senza poi ripensarci tanto.

L’autrice si chiama Jennifer Egan, è americana, collabora con il New York Times Magazine e per questo libro ha vinto il premio Pulitzer. Diciamo che questo stesso riconoscimento è stato dato anche a Cormac McCarty per La Strada che era tutto un altro discorso, comunque vediamo…

Di certo Il Tempo è un Bastardo ha dalla sua una struttura insolita e piuttosto originale. Si tratta infatti di una serie di racconti collegati tra loro dal ricorrere degli stessi personaggi che sono tutti in qualche modo legati alla figura centrale, Bennie Salazar, un ex musicista diventato poi discografico di successo. Ogni capitolo è in realtà un racconto a se stante che ha come protagonista una di queste persone che ruotano attorno alla vita di Bennie. C’è la sua collaboratrice di cui scopriamo un passato oscuro. C’è il di lei patrigno che fa un viaggio in Italia per andare a cercarla dopo una sua fuga e ne approfitta per dedicarsi alla storia dell’arte. C’è un compagno di scuola di Bennie che avrebbe potuto essere un musicista di successo ma ha preso una strada sbagliata. C’è un’amica d’infanzia di Bennie che deve intervistare il musicista fallito e scopre che il marito la tradisce… Le storie si svolgono tra San Francisco, Napoli e New York, avanti e indietro nel tempo dalla fine degli anni settanta pieni di droghe psicadeliche ad un futuro prossimo caratterizzato dalle comunicazioni veloci e informatizzate. Passando attraverso matrimoni falliti, musicisti in declino, cleptomani che poi guariscono. Minimo comune denominatore la musica soprattutto live, da quella delle band scolastiche a quella della vecchia gloria richiamata sul palco.

Il libro è tutto sommato godibile, il primo capitolo è molto promettente, poi si arena un po’ per riprendersi verso la fine. Qualche storia è meno convincente ma qualche altra la bilancia raggiungendo infine una media abbastanza buona. Ci sono delle sperimentazioni visive come un capitolo intero narrato sottoforma di slide, idea abbastanza interessante che tuttavia non fa gridare al capolavoro.

Riporto una frase che mi è piaciuta particolarmente ed in cui ho riconosciuto il segno dei nostri tempi. Si tratta della riflessione di un uomo appena uscito dal carcere: “Cazzo, uno se ne va per qualche anno e quando torna trova il mondo alla rovescia – disse Jules rabbioso – Palazzi che spariscono. Perquisizioni ogni volta che devi entrare in un ufficio. Tutti che ti parlano come se fossero matti , perché nel frattempo sono lì che mandano e-mail a qualcun altro”. 
Decisamente, tristemente vero.

lunedì 14 gennaio 2013

La migliore offerta



Se dovessi definire questo film con un solo aggettivo direi elegante. Una pellicola raffinata che ci mostra un mondo pieno di oggetti a di lusso, dove i protagonisti maneggiano opere d’arte a sei zeri, indossano abiti di sartoria e regalano anelli il cui prezzo non è esposto in vetrina. La trama del giallo invece a mio parere lascia un po’ a desiderare. Perché di un giallo si tratta, anche se durante la visione del film ad un certo punto me n’ero dimenticata, avendo tuttavia  la persistente sensazione che qualcosa sarebbe successo, che non ci sarebbe stato quel lieto fine.  Forse a causa di una trama troppo pensata il thriller perde la sua efficacia.

Non posso ovviamente svelare tutta la trama altrimenti rovinerei la sorpresa a chi ancora non l’ha visto, ma per chi non lo sapesse la storia si svolge nell’ambiente particolare e poco noto dell’antiquariato e delle aste. Virgil Oldman è appunto un sessantenne battitore d’asta molto famoso nel suo campo e di indubbia e rigorosa professionalità, che usa però come scudo per difendersi dalle emozioni. Come metafora della sua difesa indossa sempre un paio di guanti per evitare il contatto con la gente e con quello che la gente tocca.  Non ha una donna e probabilmente non ne ha mai avuta una, non per misoginia ma per poca confidenza con i sentimenti. Nella sua casa-museo però c’è una stanza segreta vuota le cui pareti sono completamente ricoperte da preziosi ritratti di donna di tutte le epoche. Lui si siede al centro della stanza, le guarda e si fa guardare. Loro sono l’unica cosa che lo emoziona.
La routine di Mr. Oldman viene turbata quando un giorno viene contattato da Claire, una giovane ereditiera che gli affida l’incarico di inventariare e vendere all’asta tutte le opere d’arte contenute nella villa dei genitori morti da poco. Anche la signorina Claire Ibetson ha la sua difesa: a causa di una grave forma di agorafobia vive chiusa nella villa e non si lascia vedere da nessuno, comunica con Mister Oldman al telefono o attraverso la parete di una stanza della casa. 
Da qui si sviluppa la storia.

Parte del mio interesse per questo film è dato sicuramente dal fatto che alcune scene sono state girate a Trieste, anche se in realtà solo qualche scorcio è riconoscibile e sovrapposto alle altre città che hanno prestato le loro piazze, Vienna e Praga tra tutte. Siamo comunque in un luogo indefinito di stampo mitteleuropeo.  Una curiosità per gli amici triestini che prendo da Wikipedia: “La villa Colloredo Mels Mainardi, residenza di Claire nella pellicola, è situata a Gorizzo di Camino al Tagliamento, in provincia di Udine. Il bar antistante – allestito per il film in una casa disabitata e poi smantellato – si trova invece, nella realtà, non di fronte alla villa bensì a Trieste. La villa e la parte esterna al cancello d'ingresso (dove è identificabile anche la chiesa luterana del capoluogo giuliano) sono giustapposti con la tecnica del blue screen, in modo da dare l'impressione che si trovino nello stesso luogo."

L’indiscusso  protagonista del film è Geoffrey Rush, magistrale nel ruolo dell’elegante algido e distaccato battitore d’aste che lentamente apre la porta al sentimento lasciandosi spettinare, salvo poi pagare lo scotto soprattutto dell’inesperienza e dell’ingenuità di chi ha poca dimestichezza con le imprevedibilità del cuore. Tanto maniacale nella sua professionalità quanto umano nel rendere la sua ingenuità  e la sua sofferenza.
Vicino a lui altri attori non degni di particolare nota, eccezion fatta per Donald Sutherland che è  Billy, suo unico amico, socio e complice.

Tutto sommato questo film potrebbe piacere  ad un ampio spettro di pubblico, dagli amanti del giallo e non necessariamente del cinema d’essai - che si godranno la visione di un film raffinato e diverso dai soliti infarciti di clamorosi colpi di scena, delitti e sangue - a chi viceversa  ricerca soprattutto il cinema d’autore,  che si godrà  una storia lussuosa e raffinata, magari anche a scapito di una trama non proprio originalissima. Un film forse troppo manierato ma comunque intrigante.


La Migliore Offerta di G.Tornatore, Italia, 2013
Con Geoffrey Rush, Donald Sutherland, Jim Sturgess, Sylvia Hoeks
Durata 124’

domenica 13 gennaio 2013

Amour



Uno dei film più belli degli ultimi anni, uno dei film più belli in assoluto. Azzarderei  a dire quasi perfetto anche se è un aggettivo che preferisco evitare. Intenso in ogni suo fotogramma e difficile da digerire, da lasciar andare. Per quanto possano valere i premi la Palma d’Oro al festival di Cannes è stata meritatissima, anzi direi quasi insufficiente.

Anne e George sono due insegnanti di musica ormai in pensione  che trascorrono  la loro vecchiaia nello svolgersi tranquillo dei giorni, ritmato dalle piccole abitudini e dai raffinati passatempi culturali, in un’intesa perfetta costruita nel corso di una vita vissuta assieme. Un giorno però Anne  viene colpita da un ictus dal quale non si riprenderà più, anzi le sue condizioni andranno via via peggiorando.  Non vuole finire in una casa per anziani e Georges le resta accanto prendendosi cura di lei fino  alla fine dei suoi giorni.

Tutto il film, ad eccezione del prologo iniziale in cui vediamo i due protagonisti ad un concerto, si svolge all’interno dell’appartamento, borghese ma non lussuoso, ordinato ma un po’ da rinfrescare,  nel quale è stata vissuta una lunga vita. Gli unici protagonisti  sono i due anziani coniugi, fatta eccezione per qualche visita della figlia, di un vecchio allievo e dei vicini di casa. E tutto il film è privo di accompagnamento sonoro, salvo qualche cd di musica classica che ascoltano i due protagonisti o di uno Chopin suonato da Anne in un ricordo di Georges.

L’interpretazione di Emanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant (che hanno realmente l’età dei due protagonisti) è splendida, soprattutto quella dell’anziana insegnante che si trasforma giorno dopo giorno in una donna malata sempre più incapace di controllare i propri movimenti ed esprimersi sia nei gesti che nelle parole.

Amour è il titolo perfetto per questa pellicola di altissima qualità e ricchezza emotiva, dove in maniera discreta e sensibilissima si tratta il tema  dell’amore nella quarta età e della senescenza, un’esperienza che riguarderà tutti noi ma di cui non si parla: non si parla del degrado del fisico né dei sentimenti di chi assiste al lento ed inesorabile declino dei suoi cari. Ma non ci sono pietismi nello sguardo di Hanecke, non si piange, si guarda in silenzio al continuo trasformarsi del dolore di Georges che fa del suo meglio, guidato da un  grandissimo e solido amore. Il finale non ha uscite di sicurezza, sfiora senza clamori la tematica dell’eutanasia e ci porta fino alla conclusione della  partita tra l’amore e la morte con l’inevitabile vittoria di quest’ultima. La commozione per me è stata per la bellezza e l’intensità di quest'opera d'arte.


Amour, di M.Hanecke, Francia Austria Germania 2012
Con Emanuelle Riva, Jean Louis Trintignant, Isabelle Huppert
Durata 125’

mercoledì 9 gennaio 2013

The Master



Che fastidio vedere un film importante, con un tema serio, un bravo regista ed un bel cast … che però non mi travolge. Aspettative in parte deluse per questo The Master che è stato uno dei film più attesi dello scorso festival del cinema di Venezia e che ha vinto premi o nomination praticamente in tutti i festival del cinema del mondo.
Sto ancora cercando di capire cosa non mi ha completamente convinta, qual è stato il sassolino nella scarpa. Vediamo…

Freddie Quell è un veterano della guerra alcolizzato e con il sistema nervoso danneggiato che non riesce a reinserirsi in società. Un giorno incontra il guru Lancaster Dodd che ha inventato un metodo di introspezione alternativo e gira gli Stati Uniti seguito dalla moglie e da un gruppo di seguaci per propagandare più o meno legalmente il suo metodo. Freddie si inserisce nel gruppo diventando la cavia del Maestro e suo aiutante, ma senza mai lasciarsi condizionare totalmente dalla sua personalità.

Partiamo subito dal cast che è uno dei punti forti del film. Joaquin Phoenix a mio parere è strepitoso. Sono dovuta andare a vedere qualche intervista in rete per sincerarmi che la sua paresi facciale fosse solo una finzione, tanto sembrava reale. Il ruolo del semi alcolizzato pazzo sessuomane  gli calza a pennello. Ributtante e meraviglioso. 
Ho preferito lui all’osannato Philip Seymour Hoffmann che pure è notevole nel suo ruolo di ambiguo maestro. Ad un certo punto viene il dubbio che neanche lui creda veramente alle cose che dice, ma che sia solo un gran furbacchione. Ci crede invece moltissimo la sua prima discepola, il braccio destro che ad un certo punto quasi supera il maestro, la moglie impersonata da Amy Adams, notevole anche lei. 

Il punto è che questo film non mi ha emozionata, anzi, in qualche momento mi sono addirittura annoiata. La tematica trattata offre numerosi spunti di riflessione che invece di essere approfonditi restano congelati. Spesso le situazioni si ripetono senza però risolversi, come quando Lancaster conclude i suoi discorsi con delle canzoncine a mio parere inutili o comunque poco comprensibili ai fini della trama del film (l’ossessiva musica che accompagna le scene iniziali però è azzeccatissima!) Insomma, i due attori sono geniali ma sembra quasi che la loro bravura metta in ombra lo svolgimento della storia che mi è sembrata tutto sommato abbastanza piatta. 

Dicono che il regista si sia ispirato per questa pellicaola Scientology, lui stesso ha confermato di aver preso spunto dalla vita del suo fondatore, Ron Hubbard, ma di non aver fatto un film sul movimento.
Se anche non fosse Scientology il discorso potrebbe comunque valere per una qualsiasi delle sette che nascono sempre più numerose. Questo è il pensiero che mi è venuto guardando il film, ovvero quanto  a causa delle nostre debolezze e fragilità rischiamo di farci condizionare da ciarlatani più o meno pericolosi, e quanto sia utile mettere  in dubbio se stessi e gli altri e cercare di osservare il mondo attorno a noi con una visione il più possibile a 360 gradi. Freddie Quell è sicuramente un alcolizzato con i nervi a pezzi,  ma riesce a mantenere un barlume di lucidità al momento giusto, non lasciandosi monopolizzare completamente dal Maestro. 

Comunque da vedere



The Master, di Paul Thomas Anderson, Usa 2012
Durata 137’